Puerto Montt, Cile (Wolfgang Kaehler, LightRocket/Getty)

L’industria del salmone in Cile ha raggiunto ormai proporzioni colossali, scrive Le Monde. “Secondo un rapporto del Consejo del salmón (consiglio del salmone, una delle organizzazioni che raggruppano le aziende legate a questo tipo di pesce), il settore rappresenta quasi la metà delle esportazioni alimentari del paese sudamericano. Il salmone è addirittura il secondo prodotto d’esportazione dopo il rame, la vera locomotiva dell’economia cilena, che sta ormai perdendo slancio: la crescita prevista per il 2022, infatti, è dell’1,8 per cento, mentre l’anno prossimo dovrebbe fermarsi del tutto. Il mercato del salmone cileno invece è in forte espansione: tra il 2012 e il 2021 le vendite all’estero di salmone e trota sono aumentate del 33 per cento, arrivando quasi a 650mila tonnellate, per un valore che l’anno scorso ha superato i cinque miliardi di dollari. Con un milione di tonnellate pescate nel 2021, il Cile è oggi il secondo produttore ittico mondiale, dietro la Norvegia. Il suo principale mercato d’esportazione sono gli Stati Uniti”. Questo settore così florido, però, è anche una minaccia per l’ambiente, in particolare per il mare, aggiunge il quotidiano francese: il mangime non consumato, le feci e i pesci morti in decomposizione finiscono sui fondali marini, assorbendo ossigeno e favorendo tra l’altro la proliferazione di alghe nocive. Le associazioni ambientaliste hanno denunciato anche gli incidenti in cui le balene restano impigliate nelle reti degli allevamenti. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 109. Compra questo numero | Abbonati