Fino a poco tempo fa gli album di Taylor Swift erano caratterizzati da un continuo mutamento. Dalle colorate fusioni country-rock di Red del 2012 alla teatralità di Reputation del 2017, in ogni disco la cantautrice statunitense ha abbracciato una diversa estetica sonora e visiva. Con Folklore del 2020 e il suo seguito, Evermore, e ora con il suo decimo album in studio, Midnights, il modello di Swift sta diventando un po’ più facile da definire. Non in un senso stilistico stretto, badate bene, dato che Midnights è molto lontano dalla strumentazione folk del dittico precedente e si avvicina alla tavolozza electro-pop di 1989. Il tratto comune è più che altro un temperamento più maturo e un minimalismo intimista che si riflette sugli arrangiamenti. Midnights ha qualche problema di ridondanza, ma questo ha più a che fare con le carenze di Jack Antonoff in veste di produttore, i cui trucchi cominciano a suonare ripetitivi, che con le capacità di Swift come scrittrice e interprete. Midnights alla fine si sente troppo in debito con i suoi lavori passati per spingere la cantante avanti. Se non altro, dimostra che Taylor Swift vuole fare le cose solo alle sue condizioni.
Paul Attard,Slant magazine

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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati