Lula è il 39° presidente del Brasile. Già eletto nel 2002 e 2006, il 30 ottobre il leader del Partito del lavoratori (Pt, sinistra) ha conquistato il terzo mandato con più di due milioni di voti di vantaggio rispetto al presidente uscente Jair Bolsonaro. È la vittoria più risicata degli ultimi tempi, ma rappresenta un cambiamento importante per il destino del paese e, in particolare, per l’Amazzonia, al centro degli attacchi di Bolsonaro.

La campagna elettorale è stata tesa e segnata da episodi violenti. Nel giorno del voto molte persone hanno denunciato operazioni della polizia stradale negli stati del nordest: gli agenti hanno fermato centinaia di autobus su cui viaggiavano i cittadini per andare a votare.

Dalla parte dei nativi

In campagna elettorale Lula ha promesso di combattere i reati contro l’ambiente commessi dalle milizie e dai trafficanti di legname, e ha annunciato tolleranza zero nei loro confronti e verso la deforestazione illegale. Ha lasciato intendere che è possibile recuperare le aree degradate dall’industria agricola, evitando che il disboscamento avanzi in Amazzonia. È l’opposto della politica di distruzione a cui abbiamo assistito negli ultimi quattro anni.

Nel discorso pronunciato dopo la vittoria a São Paulo, Lula ha detto che il Brasile è pronto a riprendersi il ruolo di protagonista nella lotta contro la crisi climatica e a proteggere la sua biodiversità. Ha parlato anche delle popolazioni indigene e ha promesso di fermare la devastazione nei loro territori. “Quando un bambino nativo viene ucciso dalla sete di guadagno dei predatori dell’ambiente, una parte dell’umanità muore con lui. Per questo riprenderemo il monitoraggio e il controllo dell’Amazzonia e contrasteremo qualunque attività illegale”.

Bolsonaro sarà ricordato per aver attentato contro la democrazia, favorito lo smantellamento delle agenzie ambientali, tagliato i fondi all’istruzione e alla ricerca scientifica e tecnologica, e per aver sostenuto azioni contro l’Amazzonia e le sue popolazioni. Sotto il suo governo, la distruzione della foresta ha toccato i livelli peggiori degli ultimi quindici anni. Il presidente uscente, che lascerà il suo incarico il prossimo 31 dicembre, ha legittimato gli attacchi in serie contro le popolazioni native.

Segnali positivi

Il giorno del voto la presenza accanto a Lula di Marina Silva, ex ministra dell’ambiente e attivista dello stato di Acre, ha rafforzato le aspettative sul fatto che la causa climatica sarà uno dei pilastri del prossimo esecutivo. Silva ha chiesto espressamente di inserire nel programma di Lula alcuni punti concreti sul fronte ambientale, prima di dare il suo appoggio al Pt e dedicarsi alla campagna in vista del ballottaggio. Nel programma di governo, Lula si è impegnato a “fermare la deforestazione dell’Amazzonia e favorire la riduzione delle emissioni di gas serra”.

Il Pt ha promesso di sostenere l’agricoltura a basse emissioni e quella familiare grazie a incentivi al credito, garanzie fiscali e assistenza. Un altro segnale è la volontà d’istituire il ministero dei popoli nativi e revocare le misure che li danneggiano. “Ripristineremo gli organi di controllo del disboscamento. Metteremo la parola fine all’estrazione illegale nelle riserve native protette. Invece di essere i campioni mondiali di deforestazione, vogliamo diventare leader nel contrasto alla crisi climatica. Così, investendo nell’ecologia, avremo prodotti sani nel piatto, aria pulita da respirare, acqua buona da bere e posti di lavoro di qualità”. ◆ar

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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati