L’8 ottobre, per la prima volta, ho pensato che il covid-19 fosse entrato nella nostra fabbrica. Era il primo giorno di lavoro dopo le vacanze del 1 ottobre, anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, e ci hanno avvisato che tutto il personale doveva sottoporsi a un tampone molecolare, mentre prima bastava farne uno ogni due giorni. Il 9 ottobre ho sentito dire che un operaio dell’area F era risultato positivo ed era stato messo in isolamento. Si trattava del primo caso da quando ero entrato alla Foxconn. È sembrato a tutti molto strano.

Il 1 agosto 2022 sono stato assunto dall’azienda, che si trova a Zhengzhou, nella Cina centrale. Prima mi ero occupato di servizi internet per poi rimanere qualche mese disoccupato nel villagio dove sono nato, vicino a Jiaozuo. Volevo trovare lavoro entro la fine dell’anno, così ho contattato un’agenzia di lavoro interinale di Zhengzhou, che si trova a una sessantina di chilomentri dal villaggio, e sono entrato alla Foxconn. Erano disponibili tre tipi di contratto: a tempo pieno, a chiamata e a ore. Ho scelto il terzo, con una paga di 31 yuan (4,30 euro) all’ora. Da contratto, una parte del salario sarebbe stata pagata subito e il resto alla fine del mese. I lavoratori a chiamata ricevono uno stipendio base di duemila yuan al mese e un bonus di diecimila yuan ogni tre mesi. Quelli a tempo pieno prendono 2.000-2.200 yuan. In più, però, i lavoratori a ore hanno diritto a cinque assicurazioni e a un sussidio per la casa. Non volevo un impiego stabile, e inoltre la paga iniziale del tempo pieno è la metà di quanto guadagna un lavoratore a ore o a chiamata.

La Foxconn recluta molti lavoratori nella seconda metà dell’anno per far fronte alle uscite di nuovi prodotti e ai periodi festivi, occidentali e cinesi. Quello di Zhengzhou è l’impianto principale per i prodotti della Apple. In questi giorni ho letto che nel 2019 il valore delle esportazioni delle aziende di Zhengzhou ha superato i 410 miliardi di yuan (56,5 miliardi di euro), per più dell’80 per cento grazie alla produzione dello stabilimento Foxconn.

Gli operai lavorano su due turni. E la fabbrica è attiva ventiquattr’ore su ventiquattro. L’area che occupa è enorme ed è divisa per zone: si va dalla A alla L. Io lavoro nell’area K, che si occupa di manutenzione. Non è certo il settore più sovraccarico, eppure ci chiedono di fare gli straordinari ogni giorno.

L’inizio dell’epidemia

Il 9 ottobre abbiamo sentito dire che un dipendente era risultato positivo al covid-19, ma non abbiamo ricevuto comunicazioni ufficiali. Neanche nei giorni successivi. Per questo pensavamo che la situazione fosse sotto controllo e abbiamo continuato il turno di notte come sempre.

Le cose sono cambiate il 14 ottobre. È stato creato un circuito chiuso per andare dai dormitori agli impianti, un percorso obbligatorio che l’azienda ha delimitato con sbarre di ferro: da quel momento avremmo dovuto percorrere quella via stretta per andare e tornare dal lavoro. Qualche giorno dopo l’azienda ci ha comunicato che non potevamo più mangiare in mensa: avremmo ricevuto un cestino con il pranzo da portare nei dormitori. La pausa era di quasi tre ore, con 50 yuan di rimborso al giorno. Purtroppo lo stabilimento della Foxconn è così grande che serve almeno un’ora per andare e tornare dai dormitori, e c’è anche chi ha affittato casa fuori dall’area industriale.

La mattina del 16 ottobre io e il mio compagno di stanza siamo stati messi in isolamento. All’inizio il corridoio era pulito ma dopo un paio di giorni si è riempito di rifiuti e pasti avanzati. Quando uscivamo a prendere l’acqua sentivamo l’odore acre del cibo avariato. Solo a questo punto ho cominciato a notare i problemi: più passava il tempo, più i pasti venivano consegnati a orari irregolari e più l’immondizia nel corridoio aumentava. Ho capito che nella fabbrica non c’erano abbastanza persone per gestire la prevenzione e l’epidemia. Non erano stati diffusi dati ufficiali sui contagi interni e nessuno diceva niente. Ho avuto l’impressione che i dipendenti contagiati stessero aumentando e speravo di rimanere in isolamento.

Il 22 ho ricominciato a lavorare perché altrimenti non avrei ricevuto il cestino del pranzo. Le liti tra colleghi e tra operai e superiori sono diventate sempre più frequenti. Tutti erano nervosi. Non sapevamo nulla e avevamo l’impressione che la nostra sicurezza non fosse più garantita. Se arrivi in una linea di produzione che di solito ha diciotto addetti e ne trovi solo quattro, e nessuno ti spiega dove sono gli altri quattordici, cosa pensi?

In cammino verso casa

La sera del 26 ottobre l’azienda ci ha informato che non sarebbero stati effettuati altri tamponi. In quel momento ho pensato che avrei lasciato la fabbrica, anche se rischiavo di essere arrestato o processato. Avevo contattato il comitato del mio villaggio: mi avrebbero accolto. Sapevo che qualcuno aveva già provato a raggiungere la sua citta d’origine a piedi.

Ho preso un ombrello, una batteria di riserva, un paio di scarpe, due vestiti, tre bottiglie d’acqua, l’occorrente per lavarsi e una confezione di spaghetti istantanei e li ho infilati nello zaino. Le mappe sul mio cellulare indicavano che avrei dovuto camminare circa un giorno e mezzo.

Sono sgattaiolato fuori dal percorso obbligato mentre i guardiani erano distratti e mi sono diretto verso la rete metallica che circonda lo stabilimento. C’era un buco grande come una persona. Me l’aveva detto un ragazzo che l’aveva usato per andare a comprare le sigarette uno dei primi giorni del lockdown.

Ho continuato a camminare. Non osavo fermarmi né dormire. Dovevo uscire da Zhengzhou prima di riposare altrimenti, se mi avessero scoperto, mi avrebbero riportato in fabbrica. Più andavo avanti e più ero stanco. Mi ci sono volute diciannove ore per lasciarmi la metropoli alle spalle. Alle 8 di mattina del 28 ottobre sono entrato in un’area di servizio dell’autostrada per rifocillarmi. Ero tra i primi ad andarmene dalla Foxconn a piedi, ancora nessuno lasciava cibo e acqua sul bordo della strada per noi. Ero ancora a trenta chilometri da casa. Ho ripreso l’autostrada e ho camminato altre quattro ore. A uno svincolo un auto privata mi ha portato al casello del mio paese per quattrocento yuan (55 euro). Poi un altro veicolo mi ha accompagnato nella struttura in cui si faceva la quarantena. Erano passate trenta ore dalla mia partenza.

Oggi è il mio quarto giorno in isolamento e fra altri tre potrò tornare a casa. Sto seguendo le notizie sulla Foxconn. Moltissimi operai hanno già lasciato la fabbrica per tornare ai loro villaggi. Sono stati organizzati anche degli autobus per aiutarli.

La maggior parte di chi se n’è andato lavorava a chiamata. A queste persone mancavano dieci giorni per raggiungere il traguardo dei tre mesi e il premio da diecimila yuan. Ho saputo dai colleghi rimasti in azienda che ora chi vuole lasciare la Foxconn deve compilare un modulo elettronico. Ieri si erano registrati in 70mila. Tra quelli che non se ne sono andati, alcuni aspettano solo di raggiungere i giorni necessari per ottenere il bonus. Sembra che nello stabilimento la prevenzione dell’epidemia sia tornata sotto controllo e che sia intervenuto il governo. La Foxconn ha anche ripreso ad assumere e a promettere incentivi. Chi lavorerà l’intero mese di novembre riceverà un premio di 15mila yuan (duemila euro). Anche le paghe dei lavoratori a ore e a chiamata sono aumentate. Ma al momento nessun incentivo può convincermi a tornare. ◆ cag

Questa testimonianza è stata raccolta da Chen Yinxia.

Da sapere
L’incognita della Apple in Cina

◆ Il 7 ottobre 2022 la Apple ha annunciato un ritardo nella consegna dei nuovi modelli di iPhone14: l’impianto di Zhengzhou, nella Cina centrale, ha subìto rallentamenti per i lockdown locali. Lo stabilimento, gestito dalla multinazionale taiwanese Foxconn, ospita più di 200mila lavoratori e produce più del 70 per cento degli iPhone venduti in tutto il mondo. Alla fine di ottobre migliaia di operai hanno superato le recinzioni e sono tornati a piedi a casa. Le loro testimonianze sono state largamente condivise (e censurate) sui social network cinesi. Il racconto di queste pagine è quello di un operaio che ha preferito rimanere anonimo. Si trova ancora online forse perché la sua denuncia fa comodo al governo: segno che la Apple sta lasciando la Cina o che a Pechino impiegare forza lavoro nelle fabbriche non interessa più. Intanto i nazionalisti chiedono che la Foxconn lasci il paese. Bbc, China Digital Times


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Questo articolo è uscito sul numero 1486 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati