L’inesorabile campagna dei taliban contro le donne afgane non è solo una questione di diritti, ma di sopravvivenza. In un paese in ginocchio, il regime ha reso la vita degli afgani ancora più disperata. Vietando alle donne di lavorare per le ong, impediscono a loro e ai bambini di ricevere servizi essenziali. Quasi tutte le organizzazioni umanitarie hanno sospeso le attività nel paese e le Nazioni Unite hanno bloccato alcuni programmi. Le principali potenze mondiali hanno invitato i taliban a revocare una decisione “sconsiderata e pericolosa”, mentre i capi delle agenzie dell’Onu hanno sottolineato che le operatrici sono un elemento chiave dell’azione umanitaria.

Prima di riprendere il potere, i taliban si erano sforzati di apparire più moderati, promettendo di non ripetere le crudeltà degli anni novanta. Ma i nuovi taliban somigliano sempre di più a quelli del passato. Nel dicembre 2022 c’è stata la prima esecuzione in pubblico da quando hanno ripreso il potere. Le donne sono state punite con fustigazioni allo stadio.

Intanto le relazioni con Islamabad si stanno sgretolando, man mano che aumentano gli attacchi rivendicati in Pakistan dai taliban pachistani (Ttp). Mentre l’instabilità si diffonde, il gruppo Stato islamico ha attaccato le ambasciate pachistana e russa a Kabul. La Cina ha ordinato ai suoi cittadini di lasciare l’Afghanistan dopo un raid contro un hotel frequentato da cinesi. Questi sviluppi sono per Kabul un problema non solo diplomatico: le speranze di trovare nuove entrate per rimediare alla perdita degli aiuti stranieri sono scomparse. In questi tempi difficili, le donne hanno dimostrato un coraggio e una resistenza straordinari nello sfidare il regime. Gli uomini si sono schierati al loro fianco. Per questo gli afgani meritano non solo ammirazione, ma il massimo sostegno. ◆ fsi

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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati