Un’estrema destra fascista, ultracolonialista e razzista è sempre esistita nella storia del movimento sionista. Ma per tanto tempo è stata minoritaria, perché la destra nazionalista ha sempre oscillato, a seconda delle circostanze, tra vicinanza e ostracismo nei suoi confronti.

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Il caso più celebre fu quello del partito Brit Habirionim (Alleanza degli zeloti), un gruppo che nel 1928 si separò dall’organizzazione giovanile della destra sionista, considerata troppo moderata. Il suo leader, Abba Ahimeir, aveva una rubrica settimanale sul quotidiano Doar Hayom intitolata “Diario di un fascista”. Promotore di un esasperato razzismo antiarabo, e ossessionato dalla fobia anticomunista, Ahimeir arrivò a sostenere Adolf Hitler. Per lui il leader nazista era sì un feroce antisemita, ma prima di tutto un anticomunista, e questo era l’essenziale.

Ben Gvir personifica il potere raggiunto dalla sua fazione, che ha convinto il popolo israeliano ad aderire all’ideologia dell’apartheid

L’Alleanza degli zeloti fu un movimento dalla vita breve, come negli anni settanta e ottanta il kahanismo, dal nome del rabbino statunitense Meir Kahane, che si era trasferito in Israele nel 1971. Kahane mescolava un misticismo etnico ebraico fondato sul culto della terra d’Israele e un razzismo brutale verso “gli arabi” che, secondo lui, dovevano essere espulsi da quella regione. Al quarto tentativo, nel 1984 Kahane riuscì a farsi eleggere deputato. Ma in seguito il parlamento lo espulse. Nel 1988, definito razzista dalla corte suprema, il suo partito, il Kach, fu escluso dalle elezioni. Da allora sono passati quarant’anni.

Nel 1990 Kahane fu assassinato a New York, negli Stati Uniti, da uno statunitense di origine egiziana, e il kahanismo scomparve. Un altro fenomeno lo ha sostituito, incarnato dall’ascesa di Itamar Ben Gvir alla carica di ministro della sicurezza nazionale. Se è vero che il kahanismo non esiste più, la sua influenza ideologica sulla società israeliana ha continuato a crescere, al punto che i suoi eredi hanno fondato quello che attualmente è il terzo partito in parlamento per numero di eletti (14 su 120), trasformando la cultura kahanista in una forza ideologica di primo piano.

Itamar Ben Gvir aveva quattordici anni quando Kahane fu assassinato. Figlio di una coppia di ebrei di origini irachene, la sua famiglia non era religiosa, ma lui cominciò a indossare la kippah fin dall’adolescenza. Si avvicinò presto al kahanismo. Vivendo nel culto del loro eroe assassinato, i kahanisti predicavano l’espulsione dei palestinesi, la “sovranità ebraica” esclusiva sulla terra di Israele e la ricostruzione del secondo tempio di Gerusalemme (distrutto dai romani nel 70 dopo Cristo), tappe obbligate per la venuta del messia. A 18 anni Ben Gvir era coordinatore della gioventù kahanista. L’esercito lo esonerò dal servizio militare perché promuoveva idee sovversive. Una caratteristica che l’ha accompagnato per tutta la vita.

L’albo d’oro

La violenza di Ben Gvir è diretta soprattutto contro “gli arabi”, che secondo lui non hanno niente a che fare con la terra ebraica. Ma se la prende spesso anche con gli ebrei israeliani che non condividono il suo sfrenato colonialismo. Il nome del suo partito, Potere ebraico, fondato nel 2012, dice tutto. Ben Gvir rappresenta quello che B’Tselem (l’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani nei territori palestinesi) definisce il “suprematismo ebraico”. Le incriminazioni per discorsi e atti razzisti hanno accompagnato tutto il suo percorso politico: in un’intervista del 2015 diceva di averne subite 53. Diventato avvocato, la lista dei suoi clienti, come ha scritto il quotidiano Haaretz, “può essere considerata un albo d’oro degli ebrei sospettati di terrorismo e di crimini d’odio”.

Fino a poco tempo fa Ben Gvir, 46 anni, teneva in salotto una grande foto di Baruch Goldstein, il colono kahanista che nel 1994, dopo gli accordi israelo-palestinesi di Oslo, uccise 29 musulmani che pregavano alla Tomba dei patriarchi a Hebron, in Cisgiordania, e ferì 125 persone. Nel 2020, su consiglio di alcuni amici, ha tolto l’immagine dal muro. Ma ne ha ancora una appesa del venerato Kahane, autografata dallo stesso rabbino. E non ha mai nascosto la sua stima per Yigal Amir, il fanatico che nel 1995 assassinò il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin.

Ben Gvir porta un’ampia kippah ricamata sulla testa, emblema del sionismo religioso, e le grosse scarpe simbolo dei “giovani delle colline”, i fanatici che cercano d’insediarsi nelle terre confiscate ai palestinesi con la forza. Il giornalista Armin Rosen della rivista ebraica-statunitense Tablet, che l’ha incontrato ad agosto, lo descrive come un uomo dominato da un odio compulsivo per gli arabi. “Mentra parlavamo meditava di mandare i terroristi sulla sedia elettrica e protestava contro ‘la carne di agnello, la marmellata e il cioccolato’, che pare siano serviti agli ‘assassini arabi di ebrei’ nelle carceri israeliane”, ha scritto Rosen. Durante la campagna elettorale ha moderato i toni, ma la sostanza è rimasta la stessa. Se un palestinese lancia una molotov contro un soldato “dev’essere incarcerato e poi espulso” dal paese. Attenzione, lui dice di non avere “niente contro gli arabi”. Ma cosa può farci se i palestinesi sono quasi tutti dei terroristi ai suoi occhi?

Le dichiarazioni in campagna elettorale mostravano una vena populista e antisistema. Ben Gvir, che vive a Kiryat Arba, una colonia confinante con la città di Hebron, spinge alle estreme conseguenze l’idea che gli ebrei in Israele siano vittime di un destino identico a quello degli ebrei dell’Europa orientale e centrale nell’ottocento e nel novecento. In Israele subiscono l’intolleranza degli arabi. Secondo lui vietare agli ebrei di andare sulla Spianata delle moschee nei giorni della preghiera musulmana è una discriminazione. A Gerusalemme gli ebrei, spiega, “hanno paura di andare al Muro del pianto nella città vecchia” araba, lì dove da decenni Ben Gvir collabora con la politica di “giudaizzazione” della città condotta sia dallo stato israeliano sia dal comune. “Siamo tornati a casa dopo duemila anni di esilio. Ma ci comportiamo come se fossimo ospiti”, ha detto ancora a Rosen.

Secondo lui la principale minaccia per il futuro dello stato israeliano non viene né dall’Iran né dai territori occupati palestinesi, dove l’esercito israeliano regna sovrano, ma dai palestinesi che sono cittadini d’Israele. È questo che l’ha portato a conquistare i voti di un nuovo elettorato. La maggioranza degli israeliani non conosce i palestinesi che vivono sotto l’occupazione. Gli unici “arabi” che incontrano sono proprio i palestinesi d’Israele. È a loro che pensa la maggior parte degli ebrei israeliani quando dice di voler vivere “separatamente” dagli arabi. Ecco perché la campagna elettorale di Potere ebraico era incentrata su un’idea: “Chi sono qui i padroni di casa?”. Il suo tema preferito è stata l’idea guida dei kahanisti: “Far capire agli arabi chi comanda”.

Due settimane prima delle elezioni Ben Gvir, alla testa di un gruppo di fanatici, ha brandito una pistola nel quartiere di Sheikh Jarrah, in cui da anni l’estrema destra israeliana conduce una campagna di esproprio ai danni delle famiglie palestinesi. Gridava: “Qui sono io il padrone!”. Insomma, anche se ha messo da parte gli elementi più critici della sua propaganda per allargare la base elettorale, Ben Gvir resta circondato di kahanisti incalliti.

Quale margine di manovra gli lascerà Benjamin Netanyahu una volta che Ben Gvir sarà diventato ministro della sicurezza nazionale? Netanyahu è un politico molto più spregiudicato di lui e anche più consapevole del funzionamento dello stato profondo. Ma Ben Gvir non è uno sprovveduto. Netanyahu l’ha aiutato a entrare in parlamento per avere in cambio un appoggio che gli garantisca l’immunità parlamentare e di sfuggire alle accuse di corruzione. Offrendogli il posto che sperava, quello di capo della polizia, Netanyahu ha voluto solo proteggere se stesso. Ma che farà il primo ministro se Ben Gvir avanzerà nuove richieste? Il lea­der di estrema destra ha in mano alcune carte: il suo partito (che ha sei deputati) può far cadere il governo se lascia la coalizione formata da Netanyahu, sostenuta solo da 64 parlamentari su 120.

Timorati di dio

Dopo le elezioni Ben Gvir e i suoi uomini hanno fatto delle spedizioni punitive nelle strade di Gerusalemme che portano alla città vecchia araba, sotto gli occhi complici della polizia. A Hebron il 19 novembre, durante una processione religiosa, si sono scatenati, saccheggiando gli appartamenti dei palestinesi e aggredendoli sotto gli occhi dei soldati (alcuni dei quali si sono uniti agli attacchi). Non pensate che la truppa di Ben Gvir sia composta solo di “teppisti”. Sicuramente ce ne sono tanti. Vengono da colonie o da cittadine povere in cui domina la precarietà. Ma tra di loro si trovano anche molti rampolli della buona società di Tel Aviv e giovani “timorati di dio” di Gerusalemme.

Lo stato maggiore israeliano ha informato Netanyahu che sarebbe stato molto contrariato dalla nomina di Bezalel Yoel Smotrich, braccio destro di Ben Gvir, a ministro della difesa. Ma a preoccuparlo è anche quella di Ben Gvir a ministro della sicurezza nazionale. Che farà con il suo potere a capo della polizia? E come reagiranno i suoi sostenitori se il principio d’insurrezione che si sta notando in Cisgiordania si estenderà? Di recente un soldato israeliano ha picchiato un attivista anticolonialista ebreo mentre uno dei suoi colleghi spiegava davanti alle telecamere la nuova realtà che ormai avrebbe regnato nei territori occupati. “Ben Gvir metterà a posto le cose. Ora la legge la faccio io”, ha detto il soldato.

Il militare è stato incarcerato dall’esercito per dieci giorni. E cos’ha fatto Ben Gvir? Si è precipitato a visitare la famiglia dell’aggressore per esprimere il suo sostegno. Un gesto che lascia presagire cosa potrebbe presto succedere sotto il suo mandato. C’è da aspettarsi un’esplosione di violenze dei coloni e dei loro sostenitori, che possono contare su una totale impunità.

Di fatto l’accesso di un Ben Gvir ai più alti livelli del potere israeliano non è un’eccezione nella storia dell’occupazione che subiscono i palestinesi. Lui non è né il creatore né l’unica incarnazione della violenza coloniale nei territori occupati. Tuttavia, la sua nomina a capo di un ministero di primo piano simboleggia il coronamento di un lungo processo che in quarant’anni ha visto il kahanismo passare da una posizione ai margini della società israeliana a una legittimità riconosciuta.

Negli anni ottanta era stato il Likud, al tempo al potere, a escludere Kahane. Quando nel 2005 il primo ministro Ariel Sharon ordinò il ritiro dell’esercito dalla Striscia di Gaza, Ben Gvir era in prima fila tra chi aiutava i coloni a resistere all’evacuazione. Poco più tardi Sharon ebbe un ictus e finì in coma. Ben Gvir organizzò un barbecue per festeggiare l’evento con gli amici. Lui ci leggeva un “messaggio divino a tutti quelli che vogliono abbandonare la terra d’Israele”. Fanatico e determinato, Ben Gvir era ancora totalmente marginale.

Oggi, come indica il nome del suo partito, Ben Gvir personifica il potere raggiunto dal suo schieramento, che in cinquant’anni ha progressivamente convinto il popolo israeliano ad aderire all’ideologia dell’apartheid, o del “suprematismo ebraico”, come lo definisce B’Tselem. Il kahanismo è morto ma la sua eredità è presente negli animi delle persone. La sera delle elezioni israeliane sono stato invitato su France 24 per commentare i risultati. Uno dei miei interlocutori, un rappresentante del Likud, mi spiegava che Ben Gvir non è il personaggio descritto dai suoi avversari. “È un bravo ragazzo che vuole il bene d’Israele”, diceva. Il Likud è sempre al potere, ma sono loro a essere cambiati, non Ben Gvir. Lui è semplicemente riuscito a imporsi.

Il leader di Potere ebraico farà parte del gabinetto di sicurezza, l’organismo più importante del governo. Inoltre, in pochi se ne sono accorti, ma il nome del suo ministero è già cambiato. Da sempre era stato il dicastero della “sicurezza pubblica”. Ora è il “ministero della sicurezza nazionale”, un modo per dire che il suo ruolo sarà più importante di quello dei suoi predecessori. L’influenza di Ben Gvir nella Gerusalemme palestinese sarà dominante, come lo sarà nelle città e nelle cittadine cosiddette “miste”, in cui vivono (separatamente) ebrei e palestinesi, e in quelle abitate solo dai palestinesi cittadini di Israele. Ma avrà anche una grande importanza nei territori occupati, perché Netanyahu ha accettato la sua richiesta di controllare anche la polizia di frontiera, finora sottoposta al ministero della difesa e nota per la sua brutalità.

Richieste accettate

Il leader dell’altra frangia del sionismo religioso radicale, Bezalel Yoel Smotrich, avendo capito che non avrebbe ottenuto l’incarico di ministro della difesa, si è fatto assegnare quello delle finanze, e inoltre ha ottenuto che l’amministrazione civile della Cisgiordania fosse messa sotto il suo controllo. In sostanza, finora Ben Gvir ha ottenuto gran parte di quello che chiedeva. Questo non dice molto sul suo futuro nel governo di Netanyahu, ma rafforza due timori. Innanzitutto che i sostenitori di Ben Gvir e di Smotrich si sentiranno più liberi di compiere violenze contro i palestinesi e contro gli ebrei anticolonialisti e le loro ong. E poi che il primo ministro sarà disposto a concedere molto per evitare il carcere.

Armin Rosen su Tablet cita il programma televisivo satirico Un paese meraviglioso, molto seguito in Israele. Cinque settimane prima delle elezioni, la trasmissione aveva mandato in onda una parodia di Ben Gvir sulle note di Springtime for Hitler, la canzone della commedia di Mel Brooks The Producers–Una gaia commedia neonazista. Ben Gvir era rappresentato come un grottesco clown nazista.

Negli Stati Uniti la comunità ebraica ha da tempo cominciato a prendere le distanze dalle derive coloniali e fasciste di Israele. In Francia, invece, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche (Crif) continua a sostenere Israele. Ma fino a che punto lo farà? ◆ fld

Sylvain Cypel è un giornalista francese. È stato direttore di Courrier international e dal 1998 al 2013 ha lavorato a Le Monde, dove ha diretto la sezione esteri. Il suo ultimo libro è L’État d’Israël contre les Juifs (La Découverte 2020).

Biografia

1976 Nasce a Gerusalemme.
1994 Diventa coordinatore della gioventù kahanista, un’organizzazione sionista e razzista di estrema destra.
2007 È condannato per incitamento al razzismo.
2012 Fonda il partito Potere ebraico.
novembre 2022 In cambio del sostegno al governo ottiene la guida del ministero per la sicurezza nazionale.
3 gennaio 2023 Va in visita alla Spianata delle moschee, considerata il terzo luogo sacro più importante dell’islam. Il movimento palestinese Hamas definisce il gesto un “crimine che viola il diritto internazionale”.


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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati