Stéphanie Coste (Sophie Bassouls, Sygma/Getty)

Cresciuta tra Gibuti e il Senegal, a seconda degli spostamenti del padre, Stéphanie Coste ambienta il suo romanzo sulle rive del Mediterraneo, a Zuwara, in Libia, nel 2015, e tra i ricordi dell’infanzia ad Asmara, dagli anni novanta al duemila. La dittatura e poi la guerra portano la famiglia del protagonista Seyoum nel campo di Sawa, tra torture, ricatti e reclutamento forzato. In lui si scontrano due individui: uno ha un’umanità, l’altro, quello che ci parla, è un vero e proprio carnefice. È fuggito per sopravvivere, per sfuggire al suo paese senza futuro. Ora vive alla giornata, accumulando soldi. Ha una cassaforte nella sua villa dove non va quasi mai. Passa il tempo sulla spiaggia nella sua baracca malandata in cui, per dimenticare, beve alcol e assume qat, una droga che distrugge i denti, spinge quindi alla malnutrizione e influisce sul sonno e sull’umore. Conosciuto da tutti, regna sulla costa come trafficante di migranti diretti a Lampedusa, oltre la distesa blu del Mediterraneo. Uomo senza fede, senza rispetto per nessuno, nemmeno per i suoi collaboratori, questo eritreo è diventato indifferente a tutto. L’unica cosa che ancora lo entusiasma è il compito di trasportare carichi di persone in camion sgangherati, con poco o niente cibo e acqua. I migranti saranno poi caricati e ammassati come bestiame su barche rattoppate. Seyoum ci racconta i quattro giorni che precedono l’ultima traversata. Si rivela un essere spregevole, un approfittatore, un ladro, un corruttore e un corrotto, spietato nella sua lotta contro gli altri contrabbandieri. Con una penna acuta e vivida, Stéphanie Coste sa rendere i tormenti che dilaniano il contrabbandiere, senza concessioni. Regna un caldo insopportabile, il silenzio è opprimente, somali e sudanesi cuociono sotto i tetti di ferro in attesa degli eritrei, parcheggiati, dopo la faticosa traversata del deserto, in quello che si rivela praticamente un cimitero. Divorati dalla fame e dalla sete, aspettano ansiosamente l’imbarco. La scrittura evocativa di Stéphanie Coste non richiede una descrizione dettagliata degli orrori che segnano i viaggi di questi uomini e donne alla ricerca di un nuovo mondo più tranquillo. Con grande fluidità, l’autrice intreccia abilmente la vita del traghettatore tra il presente e il passato. Chris L., Bulles de culture

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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati