Quando Sara, una delle protagoniste di Yerba buena, era una bambina, lei e la sua famiglia facevano un gioco. Prendevano un foglio bianco e ognuno a turno cominciava a disegnare, costruendo lentamente la scena. All’improvviso, ecco un mondo intero, familiare ma strano, e al suo interno una storia. È così che Nina LaCour intreccia il suo romanzo. Capitolo dopo capitolo, l’autrice passa da una prospettiva all’altra per creare una tranquilla storia d’amore di due giovani donne della California meridionale che stanno capendo cosa significa costruire una casa e scegliere di invitare qualcuno a condividerla. Il titolo del libro deriva dalla flora nativa della California, e anche le storie dei due personaggi cominciano lì: Sara in un boschetto di sequoie, mentre vive il suo primo amore con la sua migliore amica tra gli antichi tronchi; ed Émilie nel giardino di una scuola, che cerca rifugio da una vita domestica tumultuosa tra gli steli di verbena e menta. Il libro poi procede a balzi, attraversando l’adolescenza di Sara ed Émilie pochi mesi alla volta e gettando le basi del trauma giovanile che le plasmerà per sempre. Nelle prime pagine incontriamo morte, dipendenza, abusi sessuali e una litania di altre miserie. Ma una volta che le strade delle due donne, ormai ventenni, s’incrociano in un ristorante di Los Angeles la storia trova il suo ritmo. L’intesa tra loro è immediata. Il libro è una festa sensoriale, ricca di dettagli vividi.
Jennifer Harlan,The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati