Shehan Karunatilaka (Sarah Lee, Guardian/eyevine/Contrasto)

Una satira sullo stato dello Sri Lanka. Siamo negli anni ottanta, Maali, figlio di un padre singale­se e di una madre di origini europee, è un fotografo itinerante che ama la sua fidata Nikon, un giocatore d’azzardo che punta grandi somme al poker, un gay e un ateo. All’inizio del romanzo si sveglia ed è morto. Pensa di aver ingerito delle pasticche che gli ha dato un amico e di avere delle allucinazioni. Ma no: è davvero morto e apparentemente rinchiuso in un mondo sotterraneo. Per lui “l’aldilà è un ufficio delle tasse e tutti vogliono il loro rimborso”. Altre anime lo circondano, con arti smembrati e vestiti sporchi di sangue, e non sono in grado di formare una fila ordinata per compilare i moduli. Molte delle persone che incontra in questo paesaggio squallidamente quotidiano sono vittime della violenza che ha afflitto lo Sri Lanka negli anni ottanta, tra cui un docente universitario ucciso per aver criticato le Tigri Tamil. Il romanzo ritrae anche le vittime del gruppo marxista Janatha vimukthi peramuna, che guidò un’insurrezione contro il governo e uccise molti civili di sinistra e della classe operaia che intralciarono la sua marcia. Maali è un testimone della brutalità. Lavorando per giornali e riviste, la sua ambizione è quella di scattare fotografie “che fanno cadere i governi”, “che possono fermare le guerre”. Le sue foto sono conservate sotto il letto della casa di famiglia. Ora, bloccato nel mondo sotterraneo, ha solo sette lune – una settimana – per mettersi in contatto con la sua amica Jaki e sua cugina, convincerle a recuperare le immagini e condividerle in tutta Colombo, la città più grande dello Sri Lanka, per denunciare la natura profondamente violenta del conflitto. Maali non vuole che il suo contributo come testimone sia consegnato all’oblio. Le foto costituiscono il suo lascito per il paese e una difesa contro l’amnesia collettiva. I paragoni letterari più ovvi sono con il realismo magico di Salman Rushdie e Gabriel García Márquez. Ma il romanzo ricorda anche l’arguzia mordace e il surrealismo di Nikolaj Gogol o di Mikhail Bulgakov. Sotto i fronzoli letterari c’è una realtà terrificante: la carneficina delle guerre civili dello Sri Lanka. Karunatilaka ha reso giustizia artisticamente a un periodo terribile della storia del suo paese.
Tomiwa Owolade, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati