La grande importanza culturale che la rapper Noname può rivendicare è inversamente proporzionale alla quantità di dischi che ha pubblicato fino a oggi. Il fatto che il catalogo dell’artista di Chicago – un mixtape, un album – possa suscitare dibattiti così intensi è una testimonianza della sua singolare abilità artistica. Impegnata in cause sociali, sincera nelle sue convinzioni, Noname è diventata sinonimo d’integrità. Il nuovo album Sundial, il primo in cinque anni, non farà altro che alimentare questa convinzione, perché è un’audace e complessa raccolta d’idee che fonde le preoccupazioni politiche dell’autrice con quelle personali. È un disco capace di passare da dichiarazioni dirette d’impegno socialista alla cruda lussuria nello spazio di una singola canzone. Per chi ha familiarità con il lavoro di Noname, la tavolozza sonora risulterà familiare. Le influenze del jazz rimangono, e in alcuni casi sono amplificate; gli ospiti sono usati con parsimonia e solo al servizio del messaggio. Un pezzo come Balloons potrebbe aver scatenato il dibattito per la presenza di Jay Electronica (in passato accusato di antisemitismo per il testo di una canzone), ma la sua complessità e i formicolio degli accordi di pianoforte sono straordinariamente attraenti. Rifiutandosi di prendere la strada facile, Sundial a volte può essere scoraggiante, e ha l’arduo compito di bissare il successo dei lavori precedenti. Ma dopo ripetuti ascolti il progetto si rivela un’opera singolare dell’arte nera statu­nitense.
Robin Murray, Clash

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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati