“In apparenza sembra coerente che l’Europa e il Regno Unito rispondano alle richieste sempre più insistenti di scuse per i crimini commessi ai tempi della schiavitù, intensificando gli sforzi per creare la ‘fortezza Europa’”, scrive Evelyn Groenink, la coordinatrice dell’inchiesta di queste pagine, in un commento sul Guardian. “Piani sulle migrazioni, recinzioni e pattugliamenti inviano un messaggio chiaro: gli africani devono restare in Africa. La schiavitù era sbagliata, giusto? Le navi negriere non avrebbero mai dovuto portarli in occidente. Perciò ora i governi autoritari africani ricevono soldi dall’Europa per tenere a casa gli africani, nei campi di detenzione o nelle carceri, se necessario. Non importa se sono dei regimi oppressivi, avranno lo stesso i soldi. Gli ex schiavisti vogliono essere sicuri che nessuno faccia mai più un viaggio simile”.

Groenink sottolinea che molti politici europei – come il commissario europeo per il clima Wopke Hoekstra, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen o l’ex ministra dell’interno britannica Suella Braverman – sbandierano l’idea che i migranti africani non sappiano quello che fanno né a cosa vanno incontro, e siano costretti da crudeli trafficanti di esseri umani a imbarcarsi su gommoni che sono delle “trappole mortali”.

“Questi politici dicono di non essere contro quelli che migrano. Vogliono solo aiutarli. Aiutarli a rimanere a casa loro. E così l’aiuto arriva, con i soldi per i leader autoritari e per le guardie costiere, ma anche sotto forma di campagne di sensibilizzazione. Le campagne dell’occidente, diffuse attraverso i ‘partner per lo sviluppo’, mandano sempre gli stessi messaggi: nella traversata si muore, vivere senza documenti in regola è orribile, c’è il razzismo”, riassume Groenink. Ma i progetti di rimpatrio e reinsediamento dei migranti finanziati dall’Europa falliscono spesso, e la maggior parte delle persone cerca nuovamente di partire. Lo fa “perché sa che i messaggi sul restare a casa, come gli inviti a costruire il futuro del proprio paese non funzionano nel contesto africano attuale. Le élite politiche corrotte, che usano lo stato come fonte di arricchimento personale, sono più volte state individuate come fattore di incremento della povertà”.

Anche gli aiuti allo sviluppo non bastano a scoraggiare l’emigrazione. “La Repubblica Democratica del Congo (Rdc)”, ricorda Groenink, “riceve ogni anno 3,5 miliardi di dollari e rimane uno dei paesi più poveri del mondo, nonostante sia il più ricco di risorse minerarie. Questi aiuti servono a pagare gli stipendi di un sistema clientelare, in cui i profitti delle attività minerarie non arrivano quasi mai nelle casse dello stato. ‘Il nostro popolo non si ribella’, scrive il giornalista congolese Eric Mwamba, ‘perché è troppo affamato’”.

“L’occidente ha bisogno di accordi e quindi considera i leader autoritari africani ‘partner alla pari’. Ma questi patti con governi oppressivi rischiano di far perdere la fiducia nell’occidente ai cittadini africani. E questo dovrebbe preoccuparci. Per il momento la democrazia occidentale e la sua professata uguaglianza di tutti di fronte alla legge continuano ad attirare chi di questa uguaglianza non può godere. Ma gli africani non sono nemmeno ciechi di fronte al fatto che gran parte del denaro investito dall’occidente nei loro paesi finisce nelle tasche di leader che costringono i loro cittadini a scappare. Non sarà facile elaborare una strategia di solidarietà con gli oppressi e gli sfruttati dell’Africa.

In tanti paesi del continente non ci sono movimenti di opposizione ben organizzati in grado di governare dopo aver cacciato i tiranni. Ma sarebbe un buon primo passo se, invece di abbracciare quei tiranni, i leader occidentali cominciassero ad ascoltare. Tra tutte le riflessioni sui risarcimenti per la schiavitù, l’Europa non ha ancora ascoltato cosa pensano gli africani. Forse potrebbe cominciare da lì”. ◆ adg

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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati