Bolis Pupul è cresciuto a Ghent, con un padre belga e una madre cinese. La Yu nel titolo del suo debutto è proprio lei. Il musicista ha dichiarato che l’interesse per le sue origini è arrivato solo quando lei è morta nel 2008. Ha studiato il cinese, è stato a Hong Kong e in questo disco ha creato collage che fondono oriente e occidente. Il risultato è commovente – in fondo è una lettera alla madre – senza essere stucchevole. Ascoltare Letter to Yu è come annusare uno strano bouquet in cui ogni fiore ha un’identità tutta sua, nata da questa sintesi culturale. Il disco è pieno di voci diverse, quella dello stesso Popul e altre prese dalle registrazioni sul campo che catturano i rumori di luoghi e momenti diversi. Questo procedimento sembra naturale, anche quando i suoni artificiali si fanno più pesanti. Altrove Pupul usa strutture ripetitive più lunghe per costruire un’aura di mistero. Tutto cresce e raggiunge una stasi prima di evaporare: è musica dance, in cui però niente resta perché sta arrivando qualcos’altro, questo è il punto. Tutto passa e tutto si muove.
Steve Horowitz, Pop Matters

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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati