A.M. Homes (Linda Nylind, eyevine/Contrasto)

Il complotto comincia nella notte delle elezioni presidenziali statunitensi del 2008. Il candidato John McCain ha appena riconosciuto la vittoria di Barack Obama e non tutti festeggiano. Nel bar di un hotel di Phoenix il nostro protagonista – un tycoon sessantenne chiamato semplicemente il Grand’uomo – affoga nell’alcol i suoi dispiaceri , valutando le sue prossime mosse. Scarabocchia qualcosa su un tovagliolino: “Il piano di un patriota per conservare e proteggere”. Il Grand’uomo è un repubblicano della vecchia guardia: il suo conservatorismo è sentimentale, reazionario e patriottico fino all’osso. E lui è ricchissimo, fa su e giù tra Palm Springs e il suo ranch nel Wyoming, un uomo affabile che adora la figlia adolescente ed è fedele a Charlotte, una moglie intelligente, acida e alcolista. La sconfitta di McCain scatena una crisi esistenziale nel Grand’uomo e, sebbene la frase non sia mai esplicitata, appare chiaro che spera di “fare l’America di nuovo grande”. Homes è un’ottima autrice satirica e un’acuta osservatrice dei tic e delle abitudini borghesi. In questo libro riesce a fissare le caratteristiche psicologiche del maschio conservatore americano: la glorificazione delle conquiste militari e una reverenza quasi religiosa per i padri fondatori. In una scena memorabile il Grand’uomo si dedica al suo passatempo preferito: la ricostruzione di battaglie storiche sul tavolo da biliardo, con soldatini e gelatina in polvere per simulare l’agente arancio. Mentre il Grand’uomo gioca, la sua famiglia va silenziosamente in pezzi. La figlia fugge dal collegio e comincia a mettere in dubbio i valori paterni e Charlotte, ripescata ubriaca e moribonda dalla piscina, finisce alla clinica Betty Ford. A quel punto il nostro protagonista mette insieme una squadra di consiglieri che ricordano i dieci di Eisenhower, il gruppo di civili scelti dal presidente per governare il paese in caso di emergenza nazionale. Nel Complotto Homes dà voce alle paure nebulose e alle fantasie della vecchia plutocrazia repubblicana. Alla radice di tutto sembra esserci la questione della razza. Con il suo solito aplomb il Grand’uomo riassume così la sua crisi esistenziale: “Mia moglie è un’ubriacona, mia figlia si aggira per i boschi e il popolo ha eletto un presidente africano”. Jennifer Haigh, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati