Era una sera ventosa nei sobborghi di Rouen. Richard Vidame, l’ufficiale giudiziario tutore dei beni della famiglia di Ophélie, sette anni, se n’è andato. Il padre torna a casa ubriaco, come al solito, e scoppia un litigio. La madre della bimba scappa, seguita dal marito furioso. Inseguimento nei corridoi del palazzo, poi un urlo. Un rumore sordo. E presto una folla, i lampeggianti dei camion dei pompieri. E “mamma, tre metri sotto il cavalcavia”, immobile sull’asfalto della tangenziale tra le auto ferme. “Non stavo più lottando. Non piangevo più. Tutte le mie forze mi avevano abbandonata. Ma a te, mamma, posso dirlo. Oh no, la mia forza non è scomparsa!”. In seguito alla tragedia, la piccola Ophélie, narratrice ed eroina dell’ultimo romanzo di Michel Bussi viene ricoverata in una casa famiglia dopo l’arresto del padre. E la sua vita ora ha un solo obiettivo: far parlare i testimoni di quella notte e ritrovare l’uomo che non aiutò la madre. Ophélie si vendica è la storia di una vendetta ordita da una bambina traumatizzata, poi da una studente muta e infine da un’adolescente calcolatrice: l’azione comincia nel 1983 e si conclude diciassette anni dopo. Ophélie è circondata da un piccolo mondo di educatori, amici di casa , agenti di polizia, ex vicini di casa, spacciatori che sono a volte complici, a volte vittime della sua ossessione. Ophélie, detta Folette, moltiplicherà quindi per anni piani e stratagemmi, mentre Michel Bussi, grande maestro del ritmo e dei colpi di scena, si diverte a giocare con gli angoli, le teorie e i punti di vista di questo puzzle intimo attraverso brevi capitoli in cui ogni protagonista racconta la sua versione della vicenda. Un vortice di suspense, una ricerca ossessiva, che lascerà, alla fine del romanzo il lettore e Folette con il cuore in frantumi.
Fabrice Drouzy, Libération

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati