In seguito alla morte della nonna, l’artista iraniana Maryam Firuzi ha cominciato una lunga serie di viaggi attraverso le zone rurali del paese alla ricerca delle sue radici ancestrali. Nel corso di quattro anni Firuzi, nata nel 1986, ha percorso in auto quasi 60mila chilometri alla scoperta del mondo femminile delle piccole comunità per raccontare, con uno sguardo originale, una cultura che trova difficilmente spazio sui mezzi d’informazione. I primi viaggi sono stati esplorativi e anche pericolosi per una giovane donna che guida, spesso da sola, nelle province più remote del paese, lontano dai centri urbani.
Nel 2020, con la pandemia di covid, ha dovuto interrompere queste prime ricerche. Ha ripreso a viaggiare un anno dopo, accompagnata dal marito e da un’assistente, e ha scattato la prima foto del progetto. Il viaggio successivo l’ha fatto invece con la madre, un’ex insegnante in pensione: insieme hanno percorso più di cinquemila chilometri in quaranta giorni.
È a questo punto che Firuzi ha cominciato a capire il senso più profondo del suo lavoro fotografico. Non era solo una ricerca personale, ma un percorso più complesso, che l’ha portata a incontrare comunità in cui le figure femminili sono forti e coraggiose.
La vita reale
Queste donne la ispirano per vari motivi: le difficoltà della loro vita quotidiana, il senso di appartenenza che condividono e la solidarietà che creano tra loro. Fanno parte di comunità poco conosciute, dedite a lavori tradizionali, all’agricoltura e alla famiglia: le foto che realizza irradiano un senso di indipendenza e dignità. Firuzi si stupisce quando queste donne, che lei fotografa e che la ispirano, la definiscono forte e indipendente perché ha intrapreso da sola questo progetto. Ma è lei a vedere in loro una qualità e un’energia che vuole documentare. Queste comunità femminili sono il simbolo della diversità culturale e linguistica dell’Iran e di una continua resilienza nel portare avanti le tradizioni in un universo patriarcale.
Firuzi ha realizzato gran parte del progetto, che ha intitolato In the shadows of silent women, da sola e spesso grazie a incontri casuali. Nei suoi viaggi ha cercato di raggiungere luoghi non turistici alla ricerca di situazioni autentiche. Non le interessa mostrare la vita quotidiana, ma distillare in un’immagine il senso profondo dell’unione femminile e delle tradizioni. Spesso, dietro di lei, mentre coordina e scatta, ci sono decine di “spettatori” locali, adulti e bambini, che a volte entrano improvvisamente a far parte della scena. Così le immagini risultano una potente miscela di attenta costruzione e spontaneità.
Per preparare il set chiede alle protagoniste di indossare abiti normali, ma spesso tornano con il loro vestito migliore, a volte quello del matrimonio. Tutte, sempre, scelgono di mostrare il loro foulard più bello.
La composizione fotografica diventa così collaborazione, in cui le pose e le espressioni sono imperfette e spontanee. Nel cuore dell’immagine ci sono le donne e la loro attività, in primo piano. Intorno la vita continua e altri personaggi occupano lo sfondo e i margini del racconto visivo: ci sono forza, solidarietà e gioia, insieme a orgoglio, tradizione e senso di appartenenza.
Firuzi cattura una vita reale, dove il ritratto dà luce a una storia nascosta, che tiene insieme il tessuto sociale, e spesso anche quello economico. Questi affreschi femminili offrono un senso di speranza, e simboleggiano anche un’eredità. La forza di questo progetto sta proprio nella consapevolezza che alcune di queste donne sono le ultime della loro generazione. E Firuzi fa in modo che la loro storia sia raccontata e loro non siano dimenticate. ◆
Carmen Abd Ali è una fotografa francese nata nel 1994.
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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati