Siamo a Parigi per smontare l’installazione Bar Luna nel centro Pompidou, insieme alla compagnia teatrale Muta Imago e al fiorista Thierry Boutemy. Per un mese abbiamo ricreato l’atmosfera di un bar della provincia italiana negli anni ottanta, il bar delle memorie perdute proprio come la luna di Orlando. “Le lacrime, i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco…”. Al bar Luna si può giocare a biliardino, a carte, mettere una musicassetta e bere un caffè, ascoltare qualcuno che legge un brano di Corpo celeste di Ortese o fischia misteriose melodie. Si può telefonare dalla cabina telefonica alla casa della nostra infanzia, e lasciare un messaggio in segreteria rispondendo alla domanda: “Cosa ti lega al mondo?”. Mentre chiudiamo gli scatoloni con lo stereo, il telefono, i fiori secchi, le visioni ottiche e i pezzi di cielo, penso a un altro bar dove passavo le notti di vent’anni fa, a Lisbona: il Tejobar. Non chiudeva mai, si spostava. Se il proprietario aveva da fare, lasciava un cartello: il Tejobar si trasferisce in spiaggia, oppure a casa perché ho la febbre, al mercato, eccetera. Sotto c’era l’indirizzo. E così mentre chiudiamo un finto bar, sorrido pensando che lo stiamo solo trasferendo su altre lune. E che ci sarà sempre un bar della memoria in cui sederci ad ascoltare, dove non ci verrà chiesto ossessivamente cosa vogliamo consumare.

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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati