È il tentativo più coraggioso fatto finora dall’Unione europea per aumentare la pressione economica sulla Russia e ostacolare la sua strategia militare in Ucraina. Dal 5 dicembre è in vigore un embargo sul petrolio russo importato via mare. Solo l’Ungheria e la Slovacchia potranno approvvigionarsi attraverso gli oleodotti. Le aziende europee non potranno più trasportare petrolio russo o assicurare i carichi se il prezzo supererà i 60 dollari al barile.

Con queste restrizioni l’Europa vuole fare in modo che paesi come India, Indonesia e Cina continuino a comprare petrolio russo, ma a un prezzo inferiore a quello di mercato. Se dovesse riuscirci sarebbe un doppio colpo per il Cremlino: finanziario, perché lo stato russo dipende dalle entrate legate alla vendita di idrocarburi, ma anche simbolico, perché gli europei dimostrerebbero il loro potere e la loro influenza su scala mondiale. In teoria, quindi, è una buona idea. Ma resta da vedere se funzionerà nella pratica. Controllare il rispetto delle norme è difficile ed esistono molte alternative. Agli acquirenti indiani e cinesi basterà una firma per dichiarare che si atterranno al tetto del prezzo concordato e avere così accesso ai servizi europei. Nel peggiore dei casi, quella che nelle intenzioni dell’Europa dovrebbe essere una prova di forza potrebbe trasformarsi in una dimostrazione della sua impotenza. ◆ mp

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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati