Mentre l’esercito russo incassa una sconfitta dopo l’altra nell’Ucraina orientale – perdendo terreno, mezzi e soldati – si è intensificato lo scontro all’interno del Cremlino. Le diverse fazioni sono alla ricerca di un capro espiatorio e attaccano sempre più ferocemente il ministero della difesa e il suo capo, Sergej Šojgu, chiedendo un’escalation dei combattimenti in Ucraina. Quando i russi hanno perso la città di Lyman, parte di una delle quattro regioni annesse illegalmente appena ventiquattr’ore prima, il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha chiesto di usare armi nucleari tattiche contro l’Ucraina. Kadyrov si è scagliato anche contro lo stato maggiore e ha minacciato di inviare al fronte il comandante del distretto militare centrale Aleksandr Lapin per “lavare nel sangue la sua vergogna”. Anche se Mosca ha minimizzato le dichiarazioni “emotive” di Kadyrov, il lancio di missili contro Kiev del 10 ottobre potrebbe essere stato in parte un tentativo disperato di Vladimir Putin di placare i falchi del suo regime.

Questo quadro suggerisce che il presidente russo, dopo essere riuscito a mantenere per vent’anni un equilibrio tra gli interessi dei potenti clan del paese, sta perdendo il controllo. L’11 ottobre Jeremy Fleming, direttore del Government communications headquarters, i servizi di sicurezza britannici, ha affermato che i russi stanno “capendo fino a che punto Putin ha valutato male la situazione”.

Kadyrov non ha puntato l’indice direttamente contro Šojgu, stretto alleato di Putin, ma chiaramente il ministro della difesa è il bersaglio implicito delle critiche. A peggiorare le cose c’è il fatto che Kadyrov è sostenuto dall’imprenditore Evgenij Prigožin, fondatore del gruppo militare privato Wagner, di cui in passato Putin si è servito per portare avanti le sue guerre. I contrasti tra Prigožin e Šojgu per questioni di soldi e contratti governativi sono noti. “Questi idioti dovrebbero essere inviati al fronte a piedi nudi e con un mitra in mano”, ha dichiarato Prigožin.

A prima vista l’invito di Kadyrov a lanciare un attacco nucleare tattico e le dichiarazioni aggressive di Prigožin potrebbero sembrare un modo per far apparire il Cremlino conciliante e comprensivo nei confronti degli estremisti. In realtà sono gli estremisti che stanno ingabbiando Putin, erodendo progressivamente il suo potere. Esistono diverse ragioni per spiegare il comportamento di Kadyrov e Prigožin, ma di sicuro non c’è stato alcun incontro segreto in cui Putin ha ordinato ai due di agire in questo modo. Entrambi, ognuno a modo suo, sentono l’odore del sangue e probabilmente vogliono sfruttare la confusione e la vulnerabilità del regime per strappare al Cremlino denaro e contratti governativi.

Kadyrov è da tempo un cane sciolto. Ripete di essere un soldato fedele di Putin e di aver inviato migliaia di uomini della sua guardia nazionale a combattere le guerre di Mosca, ma l’ex ribelle ha negoziato continuamente con il regime russo fin da quando, nel 2005, è stato incaricato di stroncare la resistenza in Cecenia. Nel 2015 l’omicidio dell’oppositore Boris Nemtsov a pochi passi dal Cremlino, attribuito ad almeno una persona legata a Kadyrov, che ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento personale, provocò una grande frustrazione negli ambienti della sicurezza russa. L’assassinio fu un atto di fedeltà nei confronti di Putin, ma fece anche scattare un allarme, perché dimostrò che i sostenitori di Kadyrov, per quanto si presentassero come “servitori” entusiasti del presidente, erano in realtà sempre più difficili da controllare.

Sulle montagne cecene

A gennaio, prima dell’invasione dell’Ucraina, Kadyrov aveva dichiarato apertamente che la Cecenia non avrebbe potuto sopravvivere senza i soldi di Mosca. In estate, però, ha chiesto al Cremlino di posizionare sistemi di difesa aerea sulle montagne cecene, una mossa interpretata da molti come l’ennesima minaccia a Putin. Kadyrov sa quanto siano irrealistiche le sue ambizioni? Difficile dirlo, ma il suo comportamento, più che far luce sulle sue valutazioni, evidenzia soprattutto fino a che punto Putin abbia perso la capacità di controllare i suoi vassalli.

Prigožin è salito alla ribalta seguendo un percorso simile a quello di Kadyrov. All’inizio il Cremlino aveva incaricato il gruppo Wagner di fare il “lavoro sporco”, fino a quando Prigožin non è diventato un potente rivale del ministero della difesa. Per otto anni, dopo l’annessione della Crimea, Putin ha chiesto a una serie di avventurieri, uomini d’affari e personaggi oscuri di portare avanti per procura l’invasione del Donbass. Il più rilevante tra questi individui è Igor Girkin, un ex agente dei servizi di sicurezza dell’Fsb. Ad aprile del 2014 Girkin aveva guidato decine di uomini in territorio ucraino, dove si è affermato come comandante dei separatisti sostenuti da Mosca, nonostante il parere contrario dei suoi superiori. Dopo mesi trascorsi a chiedere armi e truppe, Girkin è stato rimosso dall’incarico senza clamore. Resta il fatto che nel 2014 Putin non ha voluto scegliere tra la possibilità di portare a termine l’invasione su vasta scala chiesta da Girkin e da altri esponenti dell’Fsb e quella di soffocare del tutto il loro progetto separatista. Per capire le ragioni di questo tentennamento bisogna ricordare che il potere di Putin si basa sull’Fsb, non sul ministero della difesa.

A questo punto il presidente russo, abituato a delegare le responsabilità ai suoi vassalli e a prendere decisioni all’ultimo minuto in modo da tenersi aperte più strade, sembra avere poche opzioni. Con la sconfitta che incombe in Ucraina, l’idea di limitare le perdite potrebbe rappresentare la migliore soluzione per sopravvivere. Tuttavia, anche se le élite del regime hanno ancora paura di affrontarlo (è per questo che, finora, gli attacchi sono stati rivolti contro il ministero della difesa e non contro il Cremlino), Putin non ha la forza di contrastare i falchi più accaniti della sua amministrazione, che continuano a chiedere un’escalation in Ucraina. Questo perché sa benissimo che, senza il ministero della difesa a fare da scudo, prenderebbero di mira lui.

In questo modo, però, Putin sta compromettendo la sua capacità di trovare un equilibrio tra le fazioni al potere, mentre la feroce lotta intestina sta dimostrando quanto sia fragile e pericolosa la sua illusione di controllo, il miraggio con cui ha ingannato l’occidente, il suo popolo e tragicamente anche se stesso. ◆ as

Anna Arutunyan è una giornalista statunitense di origini russe. È un’analista del Wilson center, un centro di ricerca indipendente di Washington, negli Stati Uniti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati