Milioni di persone che beneficiano dei programmi europei di protezione del lavoro rischiano seriamente di perdere il posto quando i sussidi scadranno. È una situazione che pone un dilemma ai governi, chiamati a estendere o modificare i programmi di assistenza. Oggi in Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna ricevono sussidi 45 milioni di persone, pari a circa un terzo della forza lavoro. In questo modo l’Europa ha evitato una catastrofica perdita di occupazione, simile a quella che ha colpito gli Stati Uniti dall’inizio della pandemia di covid-19.

La maggior parte dei governi ha esteso i programmi di assistenza fino ad autunno, ma con la riapertura delle attività bisogna valutare gli enormi costi pubblici delle misure e anche il rischio che i sussidi intrappolino le persone in posti di lavoro “zombi”, cioè non più sostenibili, impedendogli di spostarsi verso settori con migliori prospettive nel lungo periodo. “Estendere la protezione dei posti di lavoro non farà che rimandare il problema”, ha dichiarato Katharina Utermöhl, economista della Allianz. Da uno studio della compagnia assicurativa tedesca è emerso che nove milioni di posti di lavoro, pari al 20 per cento di quelli che usufruiscono dei sussidi, sono a rischio perché riguardano settori che continueranno comunque a incontrare difficoltà, come il turismo, i viaggi, l’ospitalità, il commercio al dettaglio e l’intrattenimento. “È molto importante lanciare altre iniziative, per esempio le politiche attive per il mercato del lavoro”, ha aggiunto Utermöhl.

Magdeburgo, Germania (Krisztian Bocsi, Bloomberg/Getty)

Secondo l’Ocse, il tasso di disoccupazione nell’eurozona arriverà al 10 per cento entro la fine di giugno. È un dato molto più basso rispetto agli Stati Uniti, dove si prevede per lo stesso periodo una disoccupazione del 17,5 per cento. Le perdite di posti di lavoro sono molto più alte oltreoceano, dove da metà marzo 45 milioni di persone hanno chiesto il sussidio di disoccupazione. A maggio le assunzioni sono riprese, ma secondo Heidi Shierholz, ex economista capo del dipartimento statunitense per il lavoro, più di un lavoratore statunitense su cinque continua a ricevere sussidi di disoccupazione o è in attesa di riceverli. Tuttavia la maggioranza dei disoccupati è stata licenziata temporaneamente e potrebbe essere assunta di nuovo a breve. Per questo l’Ocse prevede che per la fine dell’anno il quadro della disoccupazione possa essere più o meno lo stesso su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Due terzi dei disoccupati statunitensi ricevono dallo stato centrale un supplemento di 600 dollari oltre al sussidio garantito dalle amministrazioni dei vari stati. Ora, però, anche i politici statunitensi si trovano davanti allo stesso dilemma dei loro colleghi europei: come eliminare progressivamente un sussidio senza provocare gravi difficoltà e un aumento della disoccupazione nel lungo periodo? “Non possiamo ritirare gli aiuti federali troppo presto”, ha affermato Shierholz. Il sostegno, ha aggiunto, dovrebbe diminuire solo quando il tasso di disoccupazione scenderà o quando quello di occupazione crescerà fino a un livello adeguato.

Riqualificazione professionale

In Europa, intanto, i sindacati e le aziende chiedono ai governi di estendere i programmi di protezione. Molti l’hanno fatto per i prossimi mesi, in alcuni casi condividendo i costi con le imprese. Tuttavia nessuna delle grandi economie europee sa bene come indirizzare i sussidi verso settori specifici, creare nuovi incentivi per l’occupazione oppure organizzare programmi di riqualificazione professionale. Secondo molti economisti, proprio misure di questo tipo, che permettono di spostare il focus dalla conservazione dei posti di lavoro esistenti agli incentivi a trovare nuove occupazioni, saranno necessarie per evitare sia perdite di lavoro troppo alte sia l’aumento di posti di lavoro zombi.

Il governo spagnolo, in particolare, è sotto pressione perché i suoi programmi Erte (la cassa integrazione temporanea straordinaria) si concluderanno alla fine di giugno. Sono in corso trattative per una possibile estensione, con aziende e sindacati che chiedono a Madrid un intervento più generoso. Ma temendo un aumento eccessivo del debito pubblico, l’esecutivo vuole che i datori di lavoro coprano il 50 per cento dei costi dei sussidi. Secondo i funzionari spagnoli, un milione di persone sta tornando al lavoro, portando il totale dei lavoratori in cassa integrazione dal picco di 3,4 milioni a 2,4 milioni. Tra le grandi economie europee, però, la Spagna sarà probabilmente la più colpita, con un tasso di disoccupazione che secondo l’Ocse alla fine di settembre potrebbe arrivare al 22 per cento. “È difficile capire quando interrompere i sussidi”, ha detto Toni Roldán, direttore del centro studi Esade EcPol di Madrid. “Probabilmente in tempi diversi a seconda dei settori. La cosa più importante è la flessibilità, perché le aziende conoscono meglio di tutti la situazione in cui si trovano”.

Il Regno Unito è il paese che ha ridotto di più i programmi di protezione. Resteranno in vigore fino alla fine di ottobre, ma Londra non accoglie più nuove richieste, e da agosto le aziende cominceranno a condividere progressivamente i costi dei sussidi, anche se i lavoratori continueranno a ricevere l’80 per cento del salario. I settori più colpiti, come quello dell’ospitalità e del turismo, non riceveranno un trattamento diverso. Secondo lo studio della Allianz, il Regno Unito ha il più alto tasso di posti di lavoro zombi, pari al 7,6 per cento, una situazione che prefigura la possibilità di una grande perdita di posti di lavoro. Ora però si comincia a discutere di come il governo potrebbe aiutare i lavoratori a trovare nuove occupazioni attraverso programmi di riqualificazione, garanzie di impiego per i giovani o la creazione di posti attraverso progetti infrastrutturali finanziati dallo stato.

La Francia ha uno dei programmi di sostegno all’occupazione più generosi, che secondo le stime del governo costerà 31 miliardi di euro in sei mesi. Ad aprile includeva quasi nove milioni di persone, che a maggio sono scese a otto milioni. Il programma si concluderà a settembre. In Germania il Kurzarbeit, programma di lavoro a orario ridotto, andrà avanti nella modalità potenziata per l’emergenza fino alla fine del 2020, ma potrebbe continuare nella modalità ordinaria fino a 24 mesi. Il paese è in ripresa e Berlino prevede un piano di stimoli per 130 miliardi di euro. “Ora la maggior parte delle attività può riprendere e non bisogna pagare le persone per non lavorare”, avverte Moritz Kuhn, professore di economia all’università di Bonn, “perché così si distorce la domanda di lavoro”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1364 di Internazionale, a pagina 99. Compra questo numero | Abbonati