Nel settembre 2018 dal balcone di Palazzo Chigi, sede del governo italiano, Luigi Di Maio, leader del Movimento 5 stelle, alzando il pugno al cielo e con voce entusiasta comunicava ai sostenitori del partito: “Abbiamo abolito la povertà”. Era appena stata approvata la legge di bilancio che introduceva il cosiddetto reddito di cittadinanza, una misura a sostegno di chi percepiva un reddito basso o non lo percepiva affatto.

La povertà, ovviamente, non è stata abolita, anzi è aumentata. Secondo un rapporto dell’istituto di ricerca Censis, nel 2021, ultimo periodo per il quale ci sono dati a disposizione, in Italia i nuclei familiari che vivevano in povertà assoluta erano più di 1,9 milioni, il 7,5 per cento del totale. Si trattava di 5,6 milioni di persone, cioè del 9,4 per cento della popolazione, un milione in più rispetto al 2019. Un buon 44 per cento vive nel sud del paese. “Più di un italiano su quattro è a rischio povertà o emarginazione sociale”, dice il Censis. Nel 2022 a peggiorare ulteriormente la situazione italiana ci si è messo l’aumento dell’inflazione, che ha provocato un forte rincaro dei prezzi, soprattutto quelli dei generi alimentari.

Assegno d’inclusione

Nell’ultimo periodo, il reddito di cittadinanza per un nucleo composto da una sola persona ammontava al massimo a 780 euro al mese, mentre uno di quattro persone ne percepiva 1.330. Visto che la povertà è in aumento, la misura non può certo considerarsi un successo ma, d’altronde, il peggioramento del quadro macroeconomico non è ovviamente colpa di chi ha proposto il reddito di cittadinanza. Per quanto riguarda l’auspicata integrazione dei beneficiari dell’aiuto nel mercato del lavoro, però, il reddito di cittadinanza non ha funzionato, perché il percorso che legava il contributo economico alla presa in carico da parte dei centri per l’impiego e alle attività formative non è mai partito davvero.

Il reddito di cittadinanza sarà abolito il 1 gennaio 2024. La presidente del consiglio Giorgia Meloni non ha mai nascosto di essere contraria a questa misura. “Perché lo stato dovrebbe pagare persone in età lavorativa?”, si è chiesta più volte. Il 1 maggio il governo ha approvato un decreto legge che contiene anche una consistente riforma del reddito di cittadinanza: la nuova misura di sostegno al reddito sarà ben più modesta della precedente. In pochi anni, il numero di persone che ne usufruirà dovrebbe diminuire del 40 per cento. Per finanziare il provvedimento nel 2022 sono stati spesi più di otto miliardi di euro, ora ci sarà un taglio di tre miliardi.

Tra le novità più importanti ci sarà l’assegno d’inclusione per le famiglie che hanno a carico almeno un minore, una persona con più di sessant’anni o con disabilità. L’assegno sarà al massimo di cinquecento euro al mese per i single. Mentre varierà in base al numero dei componenti del nucleo familiare e alla presenza di una persona con disabilità, arrivando fino a un massimo di 1.100 euro. Chi ha diritto a ricevere l’assegno e paga l’affitto di un appartamento avrà diritto a 280 euro in più al mese. Il sostegno sarà erogato per un massimo di trenta mesi.

È in particolare con chi è adatto al lavoro e ha un’età tra i 18 e i 59 anni che lo stato si dimostrerà molto meno generoso. Dal 1 settembre del 2023 a queste persone spetterà il Supporto per la formazione e lavoro, un assegno di appena 350 euro al mese, vincolati alla partecipazione a corsi di formazione o a progetti socialmente utili. Inoltre, la misura ha una durata massima di dodici mesi.

Tutte le persone in grado di lavorare – anche chi riceve l’assegno d’inclusione e ha familiari a carico – devono cercare un lavoro. Chi riceverà il sostegno al reddito e non rientra nelle categorie considerate fragili lo perderà se rifiuterà un’offerta di lavoro a tempo pieno superiore al 60 per cento del tempo pieno, e con una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi. Un lavoro a tempo indeterminato dovrà essere accettato su tutto il territorio nazionale; uno a tempo determinato, invece, solo se il luogo di lavoro non dista più di ottanta chilometri dal domicilio. Il governo specifica che sarà prevista un’attività di controllo su larga scala da parte della guardia di finanza e dei carabinieri. Chi riceve il sostegno dovrà sottoscrivere online un “patto di attivazione” e presentarsi regolarmente presso i centri per l’impiego e i servizi sociali.

Sul fronte dei datori di lavoro il governo prevede varie agevolazioni per aumentare le assunzioni. Le aziende che assumeranno chi ha un sostegno al reddito pagheranno meno contributi previdenziali. Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato, invece, si punta su un aumento della flessibilità, per esempio facilitandone il rinnovo. Il governo inoltre s’impegna a stanziare quattro miliardi di euro per ridurre il cuneo fiscale: delle agevolazioni sui contributi previdenziali dovrebbero beneficiare i lavoratori con un reddito non superiore a 35mila euro all’anno.

A questo proposito Meloni si è vantata di aver attuato “il più importante taglio delle tasse sul lavoro negli ultimi decenni”, affermazione contestata dal leader di Italia viva Matteo Renzi, che sostiene di aver fatto un taglio ben più grande quando è stato presidente del consiglio.

Salario stabilito per legge

I sindacati e i partiti di sinistra, all’opposizione, sono indignati per i tagli alle misure di sostegno al reddito e per aver reso il mercato del lavoro troppo flessibile. Giuseppe Conte, ex presidente del consiglio e capo del Movimento 5 stelle, ha denunciato il rischio di un “disastro sociale”. E ha aggiunto: “Con la scusa di aggredire gli occupabili, ridotti tutti a scansafatiche, il governo non dice che molte persone integrano con il reddito di cittadinanza stipendi da fame e contratti indegni”. In futuro, soprattutto i giovani, saranno “condannati” ad accettare lavori precari, ha aggiunto Elly Schlein, segretaria del Partito democratico. Schlein ritiene poi che si debbano limitare i contratti a tempo determinato, affiancare i minimi salariali previsti da quelli collettivi con un salario minimo stabilito per legge e che siano aboliti i tirocini non retribuiti, a cui molte ragazze e ragazzi sono costretti. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati