Nel nuovo disco di Caroline Polachek, Desire, I want to turn into you, i riferimenti a icone considerate un po’ rischiose non mancano, da Enya a Céline Dion (io ho sentito anche i Duran Duran e i Savage Garden). L’album può essere considerato una mappa del “pop libera tutti” e non a caso nelle poche collaborazioni scelte per l’album Polachek evoca la presenza di Grimes, che ha portato queste incursioni alternative tra le gabbie zuccherose del pop quasi alla perfezione con Art angels del 2015.

Il disco di Polachek, osannato con voti alti e celebrato anche sulle testate non strettamente musicali, sta suscitando discussioni accese sui suoi meriti, provocando lo stesso effetto delle recensioni numerose e isteriche dedicate ai romanzi di Sally Rooney: prendere sul serio la cultura pop non significa dedicarle sempre analisi strutturaliste fino allo spasimo nel tentativo di capire che fine ha fatto il comunismo, ma dosare gli sforzi in proporzione a quello che chiede il prodotto di cui si sta parlando.

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Con i suoi riferimenti rischiosi, per quanto rimescolati in maniera molto intelligente, Polachek ci sta chiedendo di ballare, di divertirci con l’effimero. Ed è bello che tra queste muse ci sia anche Ti sento dei Matia Bazar, un brano del 1985 che è più facile ritrovare nelle cover speed metal che nei dischi di cantanti avant-pop come Charli XCX, Grimes e Polachek, ma che appunto non fa una piega: quando la voce di Antonella Ruggiero sale fino a diventare una sirena forse ci sta dicendo proprio che possiamo scappare verso l’estasi, lasciando la “gravità” del mondo a parte. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1501 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati