In questi giorni mi sveglio con un po’ di notifiche festose sulla ripubblicazione di Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi per La Tartaruga, il testo più importante del femminismo italiano, che mancava da tempo in libreria ma ha avuto un’ostinata circolazione clandestina che ha permesso al pensiero di Lonzi di sopravvivere e reinventarsi.

La vita sotterranea e l’assenza di Sputiamo su Hegel nei circuiti ufficiali fa pensare a quello che ci perdiamo della storia e a come il movimento femminista sia fatto di scarti, ondate, inabissamenti ed emersioni improvvise, in cui quasi mai ci si affeziona all’idea di conquista perché è più importante l’idea di cambiamento.

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E penso alle canzoni perse: anche se non c’entra poi tanto con Lonzi, appena leggo le notifiche delle donne e delle ragazze che l’hanno presa in libreria mi viene in mente Carla è una mia amica della cantautrice Antonietta Laterza, tratta dall’album del 1979 Le belle signore.

Figlia di emigrati lucani, bolognese, Laterza ha preso parte ai movimenti di autocoscienza femminile inaugurati proprio da Lonzi con il gruppo di Rivolta femminile. E con la sua vita artistica è riuscita a dare una rappresentazione al rimosso della disabilità, intersecando sul palco discorsi sulla sessualità, l’avventura, la libertà e la sperimentazione a partire da un presupposto limite (Laterza era sulla sedia a rotelle a causa di una malattia), sfidando produttori e retoriche di mercato che non si rifiutavano di vederla. Vedersi, vedere: anche quello di Carla Lonzi è stato un tentativo di visione radicale. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1528 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati