Nel suo primo discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, il presidente statunitense Joe Biden ha promesso di rinunciare all’interventismo militare, che è stato spesso un pretesto per servire gli interessi degli Stati Uniti. Ma si è guardato bene dal prospettare un’apertura totale, una consultazione o una completa trasparenza con l’Onu o con i suoi alleati, relegati al rango di “partner occidentali”. La Cina non è un nemico, ma resta una “concorrente”. Come Biden aveva promesso in campagna elettorale, gli Stati Uniti sono tornati più che mai protagonisti. Ma forse non nel senso sperato dal resto del mondo.

Di questo discorso gli ottimisti potranno comunque salvare la fine della scelta delle armi, “che deve restare l’opzione estrema”. Biden ha comunque ricordato che per gli Stati Uniti la democratizzazione di paesi spesso lontani resta la soluzione migliore per salvaguardare la pace mondiale. Difficile non pensare ai taliban che vietano l’accesso all’istruzione alle afgane e battono le strade di Kabul per cercare quelle di loro che sono troppo libere. Il presidente statunitense ha difeso la decisione di abbandonarle al loro destino.

Il bilancio internazionale della democratizzazione attraverso il ricorso alla forza è catastrofico, dall’Iraq all’Afghanistan passando per la Libia.

Joe Biden ha fatto bene a voltare pagina, anche se il seguito della storia è incerto. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1428 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati