I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la free lance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.

Non sono una lettrice particolarmente disposta ad abbracciare libri sperimentali. Più che altro perché le sperimentazioni narrative o di linguaggio spesso non mi piacciono. Quasi sempre sono portata a pensare che l’esperimento serve più a ostacolare e confondere, che in fondo non ci sia una bella storia da raccontare o anche che lo scrittore non sia in grado di trovare le parole giuste per farlo. Storia aperta di Davide Orecchio è un libro sperimentale a tutti gli effetti. La storia non è convenzionale e tantomeno lo è il modo in cui è raccontata. È una storia composta in gran parte di parole scritte da altre persone, a volte con frasi di una parola sola. Come. Se. Io. Scrivessi. Così. In più vengono usate ripetizioni per rafforzare un sentimento. Così: mi piace, mi piace, mi piace. E mi piace tutto. Il romanzo racconta la storia non solo di una persona, ma di tutto un paese in un secolo turbolento e difficile. Nelle parole di Orecchio, però, la storia non rimane una serie di fatti a noi estranei, ma un movimento continuo composto dalle decisioni, dalle indecisioni, dai sentimenti e dai dubbi di persone come noi. Un esperimento di scrittura che arriva in fondo all’anima del lettore dove rimarrà, almeno nel mio caso, per molto tempo.

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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati