I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la freelance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.

Questo piccolo libro di 120 pagine che segue un “conquistatore” (antenato dell’autore) dalla Calabria di fine ottocento agli Stati Uniti, è presentato come una storia di un’altra epoca, in cui la questione meridionale è un sottofondo quasi politico. Io l’ho trovato sorprendentemente attuale e rivelatore, ma non per motivi politici. Non è proprio un romanzo, sembra più una favola, se non fosse una storia vera. E come tutte le favole, ha qualcosa d’importante da insegnarci: mentre le vicende del “casanova” Tommaso Ceravolo a Roma, a Torino o a Palermo nei giorni nostri forse non avrebbero fatto scandalo come nella Calabria del 1870, i danni causati da persone incapaci di prendersi la responsabilità delle proprie scelte e il dolore delle persone vicine a loro rimangono gli stessi. Inoltre, mentre all’epoca era inaccettabile comportarsi come Ceravolo, oggi siamo molto più disponibili a lasciar correre. Non ci poniamo più tanto il problema delle responsabilità, siamo molto più preoccupati della nostra libertà. Come lo era Tommaso Ceravolo. Questa nostra frenetica ricerca di libertà ha forse preso il sopravvento. Senza volerlo, il racconto di Ceravolo mi fa pensare di sì. In ogni modo spiega con estrema chiarezza che libertà non vuol sempre dire felicità.

Kubera edizioni, 120 pagine, 10 Euro Questo piccolo libro di 120 pagine che segue un “conquistatore” (antenato dell’autore) dalla Calabria di fine ottocento agli Stati Uniti, è presentato come una storia di un’altra epoca, in cui la questione meridionale è un sottofondo quasi politico. Io l’ho trovato sorprendentemente attuale e rivelatore, ma non per motivi politici. Non è proprio un romanzo, sembra più una favola, se non fosse una storia vera. E come tutte le favole, ha qualcosa d’importante da insegnarci: mentre le vicende del “casanova” Tommaso Ceravolo a Roma, a Torino o a Palermo nei giorni nostri forse non avrebbero fatto scandalo come nella Calabria del 1870, i danni causati da persone incapaci di prendersi la responsabilità delle proprie scelte e il dolore delle persone vicine a loro rimangono gli stessi. Inoltre, mentre all’epoca era inaccettabile comportarsi come Ceravolo, oggi siamo molto più disponibili a lasciar correre. Non ci poniamo più tanto il problema delle responsabilità, siamo molto più preoccupati della nostra libertà. Come lo era Tommaso Ceravolo. Questa nostra frenetica ricerca di libertà ha forse preso il sopravvento. Senza volerlo, il racconto di Ceravolo mi fa pensare di sì. In ogni modo spiega con estrema chiarezza che libertà non vuol sempre dire felicità.

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Questo articolo è uscito sul numero 1453 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati