Quanti degli attuali leader democratici erano al potere quando Xi Jinping ha preso le redini della Cina nel 2012? Sicuramente pochi. E quanti lo saranno ancora quando lui rinuncerà all’incarico? Forse nessuno. La Cina ha rispolverato la tradizione dei despoti a vita. Dopo aver rimesso in sesto il Partito comunista cinese e riorganizzato l’esercito, Xi ha rimodellato lo stato. Oggi incarna il potere, di cui controlla ormai gli ingranaggi fondamentali. Tutte le cariche più importanti sono ricoperte da suoi stretti alleati. Jiang Zemin – capo della cosiddetta cricca di Shanghai – è morto. Hu Jintao e la sua fazione della lega della gioventù sono stati umiliati. Gli avversari di ieri sono in prigione. Xi è alla guida di un paese pronto alla battaglia.

È una Cina che si prepara ad affrontare le sfide della “nuova epoca”. Per Pechino, dopo decenni nell’ombra, è arrivato il momento di farsi avanti. Ma questa spinta provocherà immancabilmente frizioni con altre potenze, a cominciare dagli Stati Uniti. Lo studio dell’ascesa e del declino degli imperi, e i modi per evitare le guerre sono stati un’ossessione dei leader cinesi. I teorici del partito hanno esaminato la situazione per venticinque anni. La fine della globalizzazione economica, così vantaggiosa per Pechino, era sicuramente prevedibile. E oggi Wash­ington si affida al protezionismo per frenare la rincorsa tecnologica del rivale asiatico.

In questo clima di confronto, Xi ha preso atto del ritorno della guerra fredda e per la prima volta ha accusato il presidente statunitense Joe Biden di portare avanti una politica di “contenimento”. Negli ultimi mesi il sistema di alleanze creato dagli Stati Uniti intorno alle coste cinesi si è rafforzato notevolmente, dalla Corea del Sud alle Filippine passando per Taiwan. Pechino cerca di presentarsi al mondo come la vittima di questa egemonia americana, anche se non bisogna dimenticare che la maggior parte dei vicini della Cina ha scelto di allearsi con Washington proprio per il timore delle pretese territoriali cinesi.

La concentrazione di potere a Pechino solleva la questione di una possibile deriva putiniana di Xi, con la tentazione di ricorrere alla forza per ridefinire l’ordine mondiale. Non ci siamo ancora arrivati. L’economia cinese è troppo legata ai mercati internazionali per rischiare le sanzioni che deriverebbero da un conflitto armato. Gli Stati Uniti e l’Europa sono ancora in tempo per evitare l’escalation. Prima che sia troppo tardi. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati