Commentando cronache che hanno visto coinvolti influencer armati di suv, lo psichiatra Paolo Crepet ha sostenuto che la deriva dei ragazzi affamati di like è da attribuire agli adulti eredi dell’onda lunga del 1968 che, facendo strame di ogni autorità, avrebbe trasformato i genitori da educatori in amici dei figli, sbandandoli. Primo, i genitori di oggi il 1968 l’hanno letto sui libri, quindi semmai parliamo dei nonni. Secondo, quella uscita dagli anni della contestazione è stata l’ultima generazione schiettamente generosa con i propri figli, almeno in tv. Pomeriggi gonfi di leggerezza, con supereroi in alluminio, eroine fluide, cani parlanti, bambine ribelli e famiglie allargate come Happy days, comprato dalla Rai nel 1977. I traumi, se c’erano, venivano disciolti in colori accesi e sigle canterine. Un palinsesto sinceramente amichevole che distraeva i ragazzi da altre macerie, forse viziandoli. Poi siamo cresciuti ed è toccato a noi raccontare gli adolescenti, partorendo incubi come Euphoria, Yellowjackets o Skins, serie perfette ma dove tutto sembra preludere all’apocalisse prima dei diciotto anni, mondi cupi e nichilisti abitati da ragazzi afflitti da ogni disagio, che se sorridono lo fanno alla Franti, dopo qualche infamata. Quindi amici di chi? Magari avessimo introiettato l’antiautoritarismo del 1968, noi che abbiamo l’empatia della carta vetrata, invece di rifugiarci in questa noiosa e tirannica epica dell’infelicità. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati