Dieci anni fa negli Stati Uniti avveniva una strage ogni 64 giorni. Oggi ce ne sono due al giorno, 212 solo nel 2022. Tra queste, quella in una scuola elementare di Uvalde, nel sud del Texas, dove sono morte 22 persone tra cui 19 bambini, e quella in un supermercato di Buffalo, nello stato di New York, avvenuta solo dieci giorni prima, nella quale hanno perso la vita dieci persone. Il dibattito pubblico che segue a queste tragedie di solito è sospeso tra la retorica di chi sostiene che c’è un’ondata di violenza temporanea alla quale bisogna rispondere con più polizia e più armi, e chi sostiene al contrario che sia il segnale di una decadenza endemica della società statunitense. Secondo Ryan Busse, per vent’anni amministratore delegato di un’azienda di armi leggere e oggi uno dei maggiori attivisti contro il loro uso, la realtà è molto diversa: c’è un piano industriale preciso dietro queste sparatorie che vede gli assalitori o aspiranti tali come un target di consumatori, seguito da uno sviluppo di prodotti creati apposta per loro. Nell’approfondimento quotidiano del Guardian, la giornalista Nosheen Iqbal conduce una lunga e avvincente intervista all’attivista statunitense che, avendo vissuto per vent’anni all’interno dell’industria delle armi, fornisce una visione pragmatica di un fenomeno che ha fatto più di mille morti negli ultimi trent’anni.

Jonathan Zenti

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Questo articolo è uscito sul numero 1463 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati