Durante il Super Bowl del 2021, la finale del campionato di football americano, tra le pubblicità piene di celebrità realizzate con budget da film di Hollywood a un certo punto ne è comparsa una con un ragazzo in un campo d’avena. Accompagnato da una tastierina Casio, cantava una canzone il cui ritornello diceva: “Wow, no cow”. Era Toni Petersson, l’amministratore delegato di Oatly, azienda svedese leader mondiale nella produzione di latte d’avena che, grazie anche a quella pubblicità, è diventato il secondo latte vegetale più consumato al mondo, superando il latte di soia e insidiando il primato di quello di mandorle. Petersson è anche la mente dietro il rilancio commerciale dell’azienda, capace di usare a proprio vantaggio perfino le critiche e i boicottaggi. I prodotti di Oatly si sono inseriti in un mercato, quello dei consumatori che cercano di evitare i derivati del latte per ridurre l’impatto ambientale, molto esigente sui valori veicolati dai marchi. E su questo aspetto l’azienda svedese è stata molto ambigua, come quando si è scoperto che gli scarti della lavorazione dell’avena venivano rivenduti come mangimi per allevare maiali da macello. In questa trilogia Katz Laszlo ricostruisce sia l’impatto sull’ambiente del consumo europeo di latte e di carne sia le vicende che hanno riguardato uno dei più potenti marchi dell’industria alimentare.

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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati