Il governo del cancelliere tedesco Friedrich Merz potrebbe presto trovarsi ad affrontare giorni decisivi. Proponendo Berlino come sede dei colloqui per porre fine alla guerra in Ucraina Merz ha tentato il tutto per tutto, prefiggendosi tre obiettivi: mantenere l’Europa coinvolta nelle decisioni sulla guerra e la pace nel continente; evitare la rottura definitiva tra l’Unione e gli Stati Uniti; fare in modo che il soggetto sotto pressione nei negoziati torni a essere l’aggressore, cioè la Russia.
Tutto questo però non gli è bastato: Merz ha puntato molto anche sulla questione dei beni statali russi congelati in Europa. È convinto che l’Unione europea debba decidere di metterli a disposizione dell’Ucraina, nonostante le riserve del Belgio, e anche contro gli interessi dei presidenti di Russia e Stati Uniti (che hanno i loro obiettivi sull’uso di quei miliardi). Non è detto che Merz riesca nel suo intento, ma è apprezzabile che stia mettendo a repentaglio il suo capitale politico per far sì che l’Europa torni protagonista e non si limiti a essere spettatrice della politica di potenza di Donald Trump e Vladimir Putin.
I due temi chiave
Oggi “esiste la possibilità di un vero processo di pace”, ha detto Merz il 15 dicembre. Se fosse davvero così, sarebbe una svolta quantomeno sorprendente, visto che nelle ultime settimane europei e statunitensi si sono divisi sull’argomento fino ad arrivare quasi a una rottura.
Al riguardo è stata indicativa l’assegnazione dei posti al vertice sull’Ucraina organizzato a Berlino il 14 e 15 dicembre: da un lato del tavolo Merz al fianco del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj e della sua delegazione, dall’altro gli emissari di Trump: l’inviato speciale Steve Witkoff e il genero del presidente Jared Kushner. È la rappresentazione plastica delle linee di frattura transatlantiche, con Washington che da settimane spinge l’Ucraina ad accettare l’accordo preparato da Witkoff insieme ai negoziatori russi, praticamente un elenco delle richieste massimaliste di Mosca.
Agli europei spetta il compito di impedire una pace ingiusta e imposta, che avrebbe in sé il germe della prossima guerra. E proprio a questo doveva servire il vertice di Berlino. Anche se il fallimento è sempre dietro l’angolo – specialmente considerata l’imprevedibilità di Putin e Trump – quel che è emerso dai negoziati merita attenzione. Per esempio, sono stati fatti progressi sulle garanzie di sicurezza statunitensi ed europee all’Ucraina, con Washington che avrebbe il compito di monitorare il cessate il fuoco e con impegni “giuridicamente vincolanti” per ripristinare la pace in caso di nuove aggressioni; inoltre sono state approvate forniture di armi sufficienti per tutelare l’Ucraina contro nuovi attacchi russi. Si è anche parlato dell’invio di un contingente militare europeo “con il supporto statunitense”. Altrettanto importante è la conferma del principio secondo cui all’Ucraina non può essere chiesto di cedere territori che la Russia non ha conquistato sul campo. Ogni trattativa di pace dovrà cominciare dal riconoscimento della linea del fronte al momento del cessate il fuoco. Tenere insieme le due questioni è decisivo, perché il vero oggetto del contendere non è il dominio su determinati territori. Il punto non è il Donbass, ma la sovranità ucraina, che la Russia vorrebbe distruggere per portare il paese nella sua sfera di influenza.
Ecco perché la solidità delle garanzie di sicurezza è più importante del tracciato della linea di demarcazione. Le concessioni territoriali non sono un tabù, ma credere che cedendo a Putin una porzione di territorio si otterrebbe la pace significa peccare di ingenuità. Cercare di tenere insieme garanzie di sicurezza e questione territoriale è un merito di Merz. La logica è chiara: più solide saranno le prime, più facile sarà per gli ucraini cedere (almeno temporaneamente) il controllo dei territori conquistati dalla Russia. Se nei prossimi colloqui fosse accettato questo principio sarebbe un bel passo avanti. La possibilità di avviare un vero processo di pace è nelle mani di Putin. E aver reso evidente questo semplice dato di fatto è un successo della diplomazia tedesca. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati