Dopo la netta vittoria riportata lo scorso maggio alle elezioni legislative in Thailandia, i due principali partiti filodemocratici sembravano avere le carte in regola per formare una coalizione. Per ottenere la maggioranza dei voti in entrambe le camere (376) e nominare primo ministro Pita Limjaroenrat, leader di Move forward, che è la formazione con il maggior numero di eletti, l’eventuale coalizione dovrebbe conquistare il sostegno di qualche altro deputato e convincere alcuni dei senatori, nominati alla camera alta dai militari.

Con la più alta affluenza alle urne nella storia della Thailandia, e con più di settanta partiti in lizza, gli elettori hanno espresso chiaramente le loro preferenze. Move forward e il Pheu Thai, l’altro importante partito filodemocratico, insieme hanno conquistato quasi il 60 per cento dei seggi alla camera bassa.

Ma la coalizione guidata da Pita Limjaroenrat è ben lontana dall’essere formalmente nata. Move forward è un partito molto progressista sostenuto dall’elettorato più giovane che, a differenza degli altri partiti rilevanti in Thailandia, chiede un vero cambiamento istituzionale. Nonostante la natura conservatrice della camera alta, composta da 250 senatori scelti essenzialmente dall’esercito, Move forward e i suoi alleati, tra cui il Pheu Thai, dicono di star riuscendo piano piano a convincere alcuni senatori a schierarsi dalla loro parte e confidano di ottenere l’appoggio sufficiente a raggiungere la maggioranza in vista della sessione parlamentare del 3 luglio, in cui saranno scelti il nuovo speaker della camera bassa e il primo ministro.

A maggio Chaithawat Tulathong, segretario generale di Move forward, ha riferito a ThaiPbs, l’emittente pubblica nazionale, di aver “parlato con un gruppo di senatori, e alcuni hanno espresso timori sulla linea del partito e la speranza che il nuovo governo non provochi ulteriori conflitti politici; dopo il colloquio, però, hanno capito meglio le nostre intenzioni e hanno espresso un giudizio positivo”.

Restano tuttavia degli ostacoli. Pita e Move forward non sono ancora sicuri di poter contare su questi voti in senato, anche se il 27 giugno il leader si è detto certo di avere i numeri per governare. Il fatto che intendano riformare in profondità la gestione dell’esercito e la legge sulla lesa maestà sicuramente contribuirà ad alienargli il sostegno di molti senatori. Inoltre l’élite dominante sta già cercando di mettere da parte Move forward e annullarne i voti. È stata avviata una causa giudiziaria contro Pita che potrebbe portare alla sua interdizione dalla politica, se non addirittura mandarlo in carcere, e non è impossibile, tenuto conto del sistema giudiziario tailandese particolarmente compiacente, che il partito Move forward sia messo al bando.

Situazione rischiosa

Punchada Sirivunnabood, docente di scienze sociali all’università Mahidol di Bangkok, su The Diplomat osserva che se Move forward e i suoi alleati non riuscissero a ottenere il sostegno di cui hanno bisogno in entrambe le camere, il parlamento diventerebbe un campo aperto a ogni sorta di scambi e accordi che in genere definiscono le coalizioni in Thailandia. A quel punto, in una “seconda tornata di consultazioni parlamentari, potrebbe nascere una nuova coalizione costruita intorno a un candidato del Pheu Thai o di uno degli altri partiti conservatori, probabilmente il generale Prawit Wongsuwan, leader del Palang Pracharath Party (Pprp, legato ai militari), che sarebbe proposto come primo ministro. Questo spingerebbe Move forward all’opposizione” e, quasi sicuramente, farebbe infuriare milioni di elettori tailandesi, generando una situazione molto pericolosa. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati