Di recente il dipartimento per la salute e i servizi del Michigan (Mdhs) ha consigliato agli abitanti di Benton Harbor – cittadina a maggioranza afroamericana nel sudovest dello stato – di non bere l’acqua corrente e di non usarla nemmeno per lavarsi i denti o cucinare. Inoltre hanno raccomandato, “per un eccesso di prudenza”, di usare acqua in bottiglia per evitare di intossicarsi con il piombo presente nel sistema idrico. La comunicazione è arrivata, insieme a ventimila casse d’acqua in bottiglia, tre anni dopo i primi test che avevano rivelato la presenza di livelli di piombo superiori a 15 parti per miliardo (ppb), il limite oltre il quale l’Agenzia per la protezione dell’ambiente è tenuta ad adottare misure restrittive. In realtà per molto tempo non erano stati presi provvedimenti, anche se l’acqua potabile di Benton Harbor non aveva rispettato “gli standard minimi previsti per sei periodi di controllo consecutivi negli ultimi tre anni”.

Tutto questo è successo tre anni dopo che le autorità statali hanno introdotto la Lead and copper rule, una norma pensata per evitare crisi idriche come quella di Flint, un’altra cittadina del Michigan dove gli abitanti hanno bevuto per molto tempo acqua contaminata. La nuova legge prevede “la rimozione di tutte le tubature di piombo in Michigan” e “l’abbassamento dello standard di 15 ppb” fino a “12 ppb entro il primo gennaio 2025”. E stabilisce che lo stato “deve collaborare con le autorità idriche locali per intervenire rapidamente dove i test mostrano un alto livello di piombo nell’acqua, prendendo provvedimenti per ridurre la presenza di questo metallo come previsto dalle leggi statali”.

Dopo anni di battaglie degli attivisti locali, la Nestlé ha finalmente fatto un passo indietro

Ma l’Mdhs ha cominciato a distribuire casse d’acqua in bottiglia solo il 30 settembre del 2021. L’11 ottobre, cinque giorni dopo la comunicazione ufficiale, le autorità hanno offerto “test del piombo gratuiti per i bambini” e “ispezioni nelle abitazioni di chiunque manifesti la presenza di piombo nel corpo”. Da allora, mentre la rabbia della popolazione continuava ad aumentare, i funzionari statali e i volontari hanno consegnato migliaia di casse d’acqua in città. Alcune famiglie hanno dovuto aspettare più di un’ora e mezza prima di ricevere l’acqua potabile che dovrebbe essere costantemente disponibile nelle loro abitazioni. Come già successo a Flint, l’immagine simbolo del fallimento delle autorità è stata l’arrivo delle casse d’acqua prodotte e vendute da aziende private. Le bottiglie di plastica sono diventate per l’ennesima volta un’ancora di salvezza per una popolazione a cui il governo non è riuscito a garantire un prodotto essenziale: acqua pulita e sicura.

I paradossi non si fermano qui. Gran parte di quest’acqua in bottiglia, infatti, è semplicemente acqua di rubinetto confezionata. Uno studio condotto nel 2018 dall’organizzazione non governativa
Food & water watch ha scoperto che negli Stati Uniti le aziende private prelevano dalle tubature idriche municipali il 64 per cento dell’acqua che imbottigliano. Spesso quest’acqua è filtrata con un processo che rimuove anche minerali benefici come calcio e magnesio. Tutto questo, spiega Dan Heil, docente di fisiologia alla Montana state university, “smentisce l’idea che l’acqua purificata sia più salutare o benefica rispetto all’acqua corrente, naturalmente ricca di minerali”.

Nonostante questo, un’analisi di mercato condotta a gennaio del 2021 da Grandview research ha rilevato “un aumento nella consapevolezza dei consumatori sui benefici per la salute del consumo di acqua in bottiglia”, una tendenza che spiega le previsioni “di crescita del mercato per il periodo 2021-2028”. Il rapporto sottolinea inoltre che “l’acqua in bottiglia, più di quella corrente, sembra aver conquistato i consumatori attenti alla salute”.

Tubature di piombo

Per qualche strano motivo non è stata ancora affrontata la contraddizione che porta gli statunitensi “attenti alla salute” a dipendere sempre di più da bottiglie d’acqua spesso contaminate da micro-plastiche e capaci di rilasciare sostanze tossiche. Il tutto in un paese che non riesce a sostituire una rete idrica di dodici milioni di tubature di piombo e che al momento fornisce acqua potenzialmente avvelenata a circa ventidue milioni di persone. Intanto le grandi aziende private continuano ad appropriarsi delle fonti d’acqua pubblica e a filtrare l’acqua corrente che molti americani (spesso senza motivo) si rifiutano di bere, poi la impacchettano in bottiglie di plastica prodotte attraverso un processo petrolchimico e la rivendono a un prezzo duemila volte più alto di quello che costa quando scorre dai rubinetti. Il fatto che l’acqua imbottigliata diventi spesso uno strumento per risolvere le crisi provocate dalla contaminazione da piombo è difficile da accettare, soprattutto se consideriamo che alla radice dei problemi c’è la privatizzazione di un bene pubblico. Non è un caso se il Michigan è al centro sia della crisi del piombo sia della privatizzazione dell’acqua.

Nel 2017 le autorità dello stato hanno cancellato un sussidio che copriva le spese per le bollette dell’acqua di due terzi dei residenti di Flint (un’acqua che, come ha detto un abitante della città alla Michigan Public Radio, “non rispettava gli standard di qualità federali fissati nel 2014”). Allo stesso tempo, duecento chilometri a nordest di Flint, nella contea di Mecosta, lo stabilimento dell’azienda svizzera Nestlé lavorava a pieno regime.

Secondo Bloomberg Businessweek, la Nestlé versava “acqua di rubinetto locale in contenitori di varie dimensioni, tra i due e i dieci litri”. Quasi tutte le linee di produzione “erano attive 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana, producendo tra le 500 e le 1.200 bottiglie ciascuna al minuto”. Il 60 per cento dell’acqua imbottigliata veniva da una tubatura di venti chilometri che collegava l’impianto alla fonte di Mecosta. Il resto da camion che facevano la spola con la vicina contea di Osceola, a 70 chilometri di distanza. L’impianto produceva 3,5 milioni di bottiglie al giorno.

Nel 2017 il giro d’affari dell’acqua in bottiglia della Nestlé ha raggiunto i 7,7 miliardi di dollari nel mondo. Secondo il rapporto, “più di 343 milioni di dollari di guadagni arrivavano dal Michigan, dove l’azienda imbottigliava l’acqua etichettata come Ice Mountain Natural Spring e Pure Life, la sua linea purificata. Per assicurarsi il diritto a estrarre, imbottigliare, vendere ed esportare l’acqua del Michigan, la Nestlé pagava appena 200 dollari all’anno di tasse amministrative per ogni impianto. E così, mentre nelle case degli abitanti di Flint (ma anche di Benton Harbor, Hamtramck e Wayne) arrivava acqua contaminata dal piombo, Nestlé pagava una cifra irrisoria per prelevare milioni di litri di una risorsa preziosa e rivenderla guadagnando centinaia di milioni di dollari. Questo modello è stato poi riproposto in altre aree degli Stati Uniti.

Foreste e deserti

La San Bernardino national forest, in California, è a 130 chilometri da Los Angeles, una città che ha disperatamente bisogno d’acqua. Nella foresta ci sono il lago Big Bear e il fiume Strawberry, tra le fonti principali dell’acqua Arrowhead della Nestlé, che secondo uno slogan ha una “purezza quasi leggendaria”. Sunset Magazine ha scoperto che tra il 1947 e il 2015 la Nestlé ha prelevato “in media circa 235mila metri cubi d’acqua all’anno dalla San Bernardino national forest”, pagando appena 524 dollari all’anno in base a una concessione del 1978 (un metro cubo d’acqua corrisponde a circa mille litri). Quando la concessione è scaduta, l’azienda ha continuato a pagare questa cifra irrisoria fino al 2017. A quel punto l’attivismo dei cittadini ha spinto le autorità a emettere un nuovo permesso, con una nuova tassa annuale: duemila dollari.

Il 23 aprile del 2021 la commissione di controllo delle risorse della California ha mandato alla Nestlé una bozza d’ingiunzione in cui afferma che l’azienda ha prelevato illegalmente centinaia di migliaia di metri cubi d’acqua in eccesso rispetto alla quantità consentita. L’azienda continua a sfruttare al massimo l’acqua della foresta e a fare enormi profitti. Anche se sono passati mesi, l’ingiunzione non ha ancora ricevuto l’approvazione finale della commissione di controllo delle risorse della California.

Per produrre la sua acqua Pure Life, la Nestlé sfrutta le reti idriche di Sacramento, Livermore, Pasadena, Ontario, Los Angeles e Cabazon. A Sacramento versa un dollaro per ogni piede cubo (28 litri) di acqua prelevata dalle tubature cittadine, esattamente quanto pagano i residenti e i commercianti locali. La comunità, spiega Sunset, “non ne trae nessun beneficio, perché la maggior parte delle bottiglie viene trasportata altrove”. Se ne sono accorti anche gli abitanti di Phoenix, in Arizona, dove fino a qualche tempo fa l’azienda estraeva 132mila metri cubi all’anno per produrre la Pure Life. Quando lo stabilimento è stato chiuso, tre anni dopo l’apertura, i posti di lavoro persi sono stati solo quindici, a fronte di un investimento iniziale dell’azienda di 35 milioni di dollari.

Sia la California sia l’Arizona hanno dovuto affrontare disastrose siccità provocate dalla crisi climatica. Questi fenomeni hanno limitato sempre di più l’afflusso d’acqua verso le aziende agricole, e nell’ultimo anno anche verso le aree residenziali. In un momento in cui il riscaldamento globale continua ad aggravarsi, è controproducente permettere alle grandi aziende di imbottigliare acqua potabile e impacchettarla in contenitori di plastica a base di petrolio (che entro il 2030 supererà il carbone come principale fonte di emissioni di gas serra). Come se non bastasse, le bottiglie di plastica devono essere trasportate lungo una catena di distribuzione basata sul petrolio, per poi essere comprate a caro prezzo da persone che potrebbero e dovrebbero avere accesso all’acqua in modo sicuro ed efficiente dai rubinetti di casa. Il fatto che l’acqua pubblica sia prelevata dalle grandi aziende e rivenduta generando enormi profitti in aree colpite dalla siccità è il triste simbolo di un processo di privatizzazione che sul lungo periodo sembra insostenibile.

Squali

La Nestlé non è l’unica azienda a comportarsi in questo modo. Come ha sottolineato Consumer Reports nel 2020, nella zona occidentale di Detroit “un impianto della Coca-Cola di 24mila metri quadri era rimasto attivo” mentre altre attività commerciali erano costrette a fermarsi a causa delle restrizioni imposte per contrastare la pandemia. La vendita dell’acqua in bottiglia Dasani porta nelle casse della Coca-Cola più di un miliardo di dollari all’anno. L’azienda “compra, tratta e imbottiglia acqua corrente per vederla a caro prezzo ai consumatori”. La Pepsi segue lo stesso modello per la sua Aquafina a Harrisburg, in Pennsylvania.

A Detroit la Coca-Cola pagava in media 0,01 dollari per gallone (3,79 litri) di acqua corrente. Dopo averla trattata con un filtro purificatore e averla imbottigliata, l’azienda la vendeva all’ingrosso a 1,33 dollari al gallone. Nonostante questi guadagni, la Coca-Cola è rimasta indietro con i pagamenti al comune. I residenti di Detroit rischiano l’interruzione della fornitura idrica quando gli arretrati superano i 15o dollari o il ritardo del pagamento supera i sessanta giorni (è successo a circa 2.800 famiglie all’inizio della pandemia). La Coca-Cola ha accumulato arretrati per 287.250 dollari, ma ha potuto continuare a prelevare l’acqua. In risposta al rapporto di Consumer Reports, il dipartimento per l’acqua e le fognature di Detroit ha motivato il trattamento di favore concesso a Coca-Cola parlando di “errori da parte delle autorità municipali, a cominciare dalle difficoltà nell’invio delle bollette”.

Dopo anni di battaglie degli attivisti locali, la Nestlé ha finalmente fatto un passo indietro. Ha venduto la Nestlé Waters North America (che comprende l’attività di imbottigliamento di Ice Mountain in Michigan) a due società finanziarie di New York, un affare da 4,3 miliardi di dollari. I nuovi proprietari, che hanno creato il marchio Blue Triton, hanno ridotto il tasso di estrazione misurato in galloni al minuto (gpm) in Michigan portandolo a 288, cioè al di sotto della soglia stabilita dopo anni di polemiche sull’attività della Nestlé nello stato. Blue Triton potrà estrarre 1.600 metri cubi al giorno, con un tetto di 75mila metri cubi all’anno. La Nestlé resta comunque tra le principali aziende mondiali nel settore dell’acqua in bottiglia, e ha mantenuto il controllo di marchi importanti come Perrier, S. Pellegrino e Acqua Panna.

Forse l’aspetto più crudele di questa vicenda è che l’aumento della dipendenza degli statunitensi dall’acqua in bottiglia, che è sostanzialmente acqua privatizzata, è stato accompagnato da un calo dell’impegno politico per garantire che l’acqua corrente fosse pulita e accessibile a tutti. Non è un caso se l’aumento del consumo di acqua in bottiglia è coinciso con l’avvento della cosiddetta rivoluzione reaganiana e con l’offensiva contro l’ambiente, contro gli interventi del governo e contro ogni tipo di regolamentazione. Questa svolta politica si basava sull’idea che l’intervento pubblico fosse di per sé negativo e la privatizzazione di per sé positiva, mentre lo stato va visto con sospetto. Questa tendenza ha prodotto un’ostilità verso il concetto stesso di investimento pubblico. Mentre aziende come la Nestlé approfittavano della scomparsa di restrizioni e controlli, molte infrastrutture fondamentali sono state abbandonate, e gli indispensabili lavori di manutenzione sono finiti fuori dai programmi politici. Alla fine gli abitanti di molte zone degli Stati Uniti si sono trovati a dipendere dall’acqua in bottiglia come unica opzione sicura.

Ora la gente di Benton Harbor dovrà affrontare un lungo percorso di ricostruzione, e lo stesso vale per i residenti di Flint, Jackson (Mississippi), Clarksburg (West Virginia), Newark (New Jersey), Olean (New York), Racine (Wisconsin), Chicago (Illinois), Cincinnati (Ohio) e per gli altri milioni di persone non ancora consapevoli che l’acqua che esce dai loro rubinetti è pericolosa.

Il piano per rinnovare le infrastrutture appena approvato dal congresso statunitense assegna 55 miliardi di dollari agli impianti per l’acqua e 15 miliardi alla bonifica delle tubature di piombo. Ma la spesa stimata per la sostituzione di tutte le tubature di piombo del paese si aggira tra i 28 e i 60 miliardi, quindi i 15 miliardi stanziati possono essere considerati al massimo un buon inizio. In fondo la cifra è quasi identica ai 14 miliardi di dollari che gli statunitensi hanno speso nel 2021 per comprare l’acqua in bottiglie di plastica. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati