È confortante, di tanto in tanto, tornare ai romanzi che raccontano una storia, con una trama più o meno lineare, dei personaggi ben costruiti, un arco narrativo, una lingua penetrante. Villa del seminario, l’ultimo libro di Sacha Naspini, mi ha lasciato questa sensazione: è una ricostruzione storica che si fa letteratura. La narrazione prende le mosse dal seminario vescovile di Roccatederighi, di proprietà del vescovo di Grosseto, che fu l’unica diocesi in Europa ad affittare i suoi spazi a un gerarca fascista per realizzare un campo d’internamento. A Le Case (borgo che tra l’altro dà il titolo a un altro romanzo dell’autore grossetano), più che nomi, ci sono soprannomi: Settebello è quello affibbiato a René, un ciabattino che da ragazzo aveva perso medio, anulare e mignolo.
A 55 anni non è “né bello né brutto” e, “a forza di essere uguale a se stesso”, sembra dimenticato da tutti. Da tutti tranne Anna, la sartina che, per vendicare il figlio, ucciso dai tedeschi, si unisce ai partigiani. È la sparizione della donna a mettere in moto René, e il pensiero di due solitari che “avrebbero potuto essere qualcosa di più”. Un romanzo di guerra e di resistenza, sul non essere solo spettatori della storia. Soprattutto la storia di un luogo mai ribattezzato che le persone continuano a percorrere “con la leggerezza di chi raccoglie
papaveri”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati