Cinque anni fa sulla scena politica britannica e statunitense hanno fatto irruzione dei demagoghi che promettevano una guerra culturale contro le minoranze e le élite metropolitane. Il risultato sono stati la Brexit e l’elezione di Donald Trump. La fulminante ascesa di Éric Zemmour come avversario del presidente francese Emmanuel Macron conferma che queste violente guerre culturali si sono radicate nelle principali democrazie dell’occidente.

I progressisti sono troppo disuniti e distratti da conflitti interni per combattere efficacemente questi profeti del declino e mercanti di rigenerazione etnico-razziale. Il cuore delle democrazie occidentali sta diventando sempre più disfunzionale e nel discorso pubblico si sta imponendo il linguaggio del “maggioritarismo”, la dittatura della maggioranza.

Condannato dai tribunali francesi per incitamento all’odio razziale, Éric Zemmour è convinto che i mezzi d’informazione antipatriottici attacchino la cultura e la storia nazionali

Condannato due volte dai tribunali francesi per incitamento all’odio razziale, Zemmour è convinto che la Francia sia invasa dai musulmani e che mezzi d’informazione antipatriottici attacchino la cultura e la storia nazionali. Anche se non diventerà presidente, ha già svolto il ruolo che il britannico Nigel Farage ha avuto nella politica del Regno Unito: ricompattare gli elettori intorno al nazionalismo bianco e obbligare i partiti più affermati a soddisfarli.

Cosa rivela questa convergenza tra stili di governo e demagogia in Francia, Regno Unito e Stati Uniti? Innanzitutto che le categorie politiche tradizionali e gli schieramenti di destra e sinistra si sono dissolti. Negli ultimi mesi i conservatori vecchio stile sono rimasti a bocca aperta quando il primo ministro britannico Boris Johnson ha radicalmente riformato il loro partito, preparandolo a un’epoca più feroce e ideologicamente confusa.

Con la proposta di aumentare le tasse sulle imprese, offre agli elettori un programma quasi socialista di grande spesa pubblica, all’interno di quella che definisce “una delle società più squilibrate e con una delle economie più asimmetriche”. Come Trump, Johnson si fa forte dell’intuizione che oggi la divisione politica più rilevante sia quella tra chi ha beneficiato di tre decenni di globalizzazione frenetica – in particolare le classi urbane istruite – e chi invece no. Le elezioni, a quanto pare, le vinceranno quelli che si assicureranno i voti di chi è rimasto indietro. I partiti politici tradizionali che un tempo difendevano il liberalismo economico e sociale – democratici e repubblicani negli Stati Uniti, socialisti e centrodestra in Francia, conservatori e laburisti nel Regno Unito – faticano ad arginare la disillusione nelle loro società da quando c’è stata la crisi finanziaria del 2008. In questo contesto personaggi volubili e spesso estremisti come Trump, Johnson e Zemmour hanno mandato in cortocircuito i processi politici dei partiti, attirando gli elettori più anziani delle periferie, delle piccole città e delle aree rurali. Nessuno ha un piano coerente per rendere il proprio paese di nuovo grande. In ogni caso una politica economica ponderata non sembra interessare agli elettori in preda a paure esistenziali.

I suprematisti più sfacciati hanno trovato una risorsa politica sicura nelle guerre culturali: attaccare le minoranze razziali ed etniche e i loro presunti difensori _ woke_ (consapevoli) nelle élite metropolitane, ed esaltare senza ritegno la gloria nazionale, razziale e di civiltà. Affidandosi a false promesse e a slogan incendiari questa cultura politica è difficile da sradicare. Le forze più flessibili e intraprendenti oggi si trovano a destra, mentre la tradizionale opposizione liberale e di sinistra è smarrita.

Alcune idee della sinistra progressista, messe da parte in trent’anni di neoliberismo trionfante, sono riapparse nelle ricette politiche dell’amministrazione Biden. Ma la sinistra, confinata nel mondo accademico e in piccoli settori dell’establishment politico, dei mezzi d’informazione e dei centri di ricerca, non può neanche lontanamente eguagliare il peso istituzionale e la portata ideologica della destra. Non esiste una versione di sinistra di Fox News né ci sono piattaforme d’informazione di sinistra con una diffusione paragonabile a quelle di destra. Né i liberali né i politici di sinistra offrono alternative convincenti al regionalismo e al nazionalismo di cui la destra si fa portabandiera. I sedicenti “centristi” incolpano la sinistra woke dei propri fallimenti politici. Ma gli sterili scaricabarile, che attribuiscono alla sinistra più influenza di quanta ne abbia davvero, distraggono dalle forze che realmente inquinano la sfera pubblica e privata con teorie del complotto e pregiudizi.

Le implicazioni sono fosche: la destra negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Francia sta definendo i parametri della cultura politica, mentre i liberali e la sinistra litigano tra loro. Zemmour probabilmente non sarà l’ultimo demagogo a spingere ancora di più la democrazia occidentale sulla strada della dittatura della maggioranza. ◆ ff

**Pankaj Mishra
**è uno scrittore e saggista indiano. Collabora con il Guardian e con la New York Review of Books. Il suo ultimo libro uscito in Italia è _Le illusioni dell’Occidente _(Mondadori 2021). Questo articolo è uscito su Bloomberg.

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Questo articolo è uscito sul numero 1435 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati