In nessun altro paese la necessità di una banca centrale indipendente dalla politica è più evidente che in Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, infatti, da anni si sente obbligato a intervenire direttamente nelle questioni di politica monetaria. E ogni volta le conseguenze sono devastanti. È successo anche qualche settimana fa, quando Erdoğan ha messo alla porta tre componenti del comitato di politica monetaria della banca centrale. La reazione del mercato non si è fatta aspettare. La lira turca è scesa al suo minimo storico rispetto al dollaro, dopo che nel 2021 si era già svalutata del 19 per cento.

Per gli osservatori è un déjà vu. Negli ultimi due anni e mezzo il presidente turco ha licenziato tre governatori della banca centrale. Questa volta il governatore, in carica da meno di sette mesi, è stato risparmiato. Tuttavia, due dei tre licenziati erano suoi vice. L’ostilità di Erdoğan colpisce le persone contrarie alle sue idee economiche. In linea di principio questo fa onore ai licenziati, dato che le teorie di politica monetaria di Erdoğan appaiono del tutto prive di logica. Il presidente, per esempio, è convinto che si debba combattere l’elevata inflazione del paese abbassando i tassi d’interesse.

Erdoğan è tra i pochissimi a sostenere questa tesi, che contraddice ogni esperienza in campo economico. Ma il sovrano non ama i consigli e non sembra turbato dalla sua solitudine. Da anni sprona le autorità monetarie ad abbassare il costo del denaro, anche se l’inflazione, che sta sfuggendo di mano, richiederebbe una stretta creditizia.

A settembre l’inflazione turca ha toccato quasi il 20 per cento, un valore quattro volte superiore all’obiettivo ufficiale della banca centrale. Il problema sono soprattutto i prezzi dei generi alimentari, che a settembre erano superiori del 29 per cento rispetto all’anno precedente. Il paese, povero di risorse naturali ed energetiche, risente anche dell’aumento dei prezzi del gas naturale e del petrolio. Per frenare l’inflazione servirebbe una valuta stabile. Ma con i suoi interventi Erdoğan ha sempre ottenuto il contrario, soprattutto ora che gli investitori cominciano a voltare le spalle alla lira turca. E a causa della svalutazione la Turchia, che importa molto più di quanto esporta, è costretta a pagare ancora più care le sue importazioni.

I numeri reali

C’è poi il sospetto che la situazione sia molto più allarmante di quanto mostrano i numeri ufficiali. Secondo il gruppo indipendente di ricerca Enag, l’inflazione reale è intorno al 40 per cento, il doppio di quella ufficiale. Ovviamente l’Enag è stato subito attaccato dall’ufficio di statistica nazionale. L’avvertimento è il tipico mezzo con cui il governo affronta chi la pensa diversamente. A differenza degli oppositori fastidiosi, però, l’inflazione non può essere imprigionata o vietata per decreto.

Ma in fondo non è tanto importante se l’inflazione sia del 20 o del 40 per cento. È il divario tra le aspirazioni e la realtà nelle questioni di politica monetaria a essere sempre più evidente. Anche se nella lotta all’inflazione l’aumento dei tassi d’interesse è inevitabile, a settembre la banca centrale li ha fatti scendere dal 19 al 18 per cento, una mossa che ha ulteriormente indebolito la lira.

Il taglio dei tassi ha suscitato solo critiche. È ovvio che questa misura sorprendente sia dovuta alle pressioni di Erdoğan. In Turchia tutti sanno anche che i banchieri centrali licenziati dal presidente erano contrari all’abbassamento del costo del denaro. Il capo della banca centrale Şahap Kavcıoğlu, invece, condivide le idee poco ortodosse di Erdoğan. Non è ancora chiaro, tuttavia, se quest’ex parlamentare del partito di governo, arrivato al suo importante incarico senza alcuna competenza in politica monetaria, continuerà ad avere il sostegno del presidente. Erdoğan vorrebbe accelerare con il taglio dei tassi.

Già circolano voci secondo cui il presidente vorrebbe sostituire ancora una volta il governatore della banca centrale. La notizia è stata smentita. Ma considerato quant’è rimasto in carica il predecessore, un altro licenziamento non sarebbe una sorpresa. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1432 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati