I colibrì sono uccelli molto particolari. Si muovono come insetti che vanno di fretta, cambiano direzione in un batter d’occhio ed estraggono il nettare dai fiori con precisione quasi chirurgica. Ma hanno anche un’altra capacità: vedono colori che l’occhio umano non è in grado di percepire.
La luce ultravioletta del Sole crea nel mondo naturale dei colori a noi sconosciuti. In un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), i ricercatori del Rocky mountain biological lab scrivono che il colibrì coda larga è in grado di distinguere questi colori per trovare il cibo. Grazie a un esperimento su 19 coppie di colori, l’équipe ha scoperto che i colibrì ne vedono molti più di noi, e li distinguono anche sulle piante e sulle piume. Insomma, vivono in un mondo molto più ricco di sfumature, pieno di messaggi che noi non siamo in grado di cogliere.
Quattro coni
Rispetto a quella di molti animali, la nostra capacità di vedere i colori lascia parecchio a desiderare. La percezione dei colori dipende dai coni, cellule fotorecettrici presenti sulla retina: ogni cono reagisce a diverse lunghezze d’onda della luce. Noi abbiamo tre tipi di coni: quando, per esempio, la luce si riflette da una mela, da una foglia o da un campo di narcisi, inviano al cervello dei segnali che si fondono generando la percezione del rosso, del verde e del giallo. Gli uccelli, invece, hanno quattro tipi di coni, uno dei quali è sensibile alla luce ultravioletta (e non sono neanche gli animali più dotati: la cicala di mare, per esempio, ha sedici coni).
“I test in laboratorio dimostrano che gli uccelli individuano senza problemi la luce ultravioletta e il giallo ultravioletto, un misto di luce ultravioletta e lunghezze d’onda del giallo visibile”, spiega Mary Caswell Stoddard, docente di biologia evolutiva all’università di Princeton e coautrice dello studio. I ricercatori sapevano già che i colori ultravioletti, a noi invisibili, sono molto diffusi nel mondo naturale, ma non era chiaro se gli uccelli selvatici se ne servissero nella vita quotidiana. Per scoprirlo Stoddard e i suoi colleghi hanno trascorso tre estati vicino a Gothic, in Colorado, osservando centinaia di colibrì.
L’équipe ha piazzato due treppiedi tra i fiori di un prato di montagna, ognuno con un piattino pieno d’acqua (con e senza zucchero) e una luce led colorata. Le due luci erano spesso identiche per l’occhio umano, ma in molte coppie di luci una era un misto di luce visibile e ultravioletta, mentre l’altra era solo luce visibile. Per i colibrì i due led erano completamente diversi. I ricercatori hanno contato circa seimila visite dei colibrì per assaggiare la soluzione liquida dei fiori artificiali. Poi, quando gli uccelli erano lontani, hanno invertito le posizioni dei treppiedi per verificare se sceglievano il piattino con l’acqua zuccherata. Con loro grande soddisfazione, hanno constatato che distinguere i colori e capire quale conduceva al cibo preferito non era un problema per i colibrì.
“Sapevo già che i colibrì sono in grado di distinguere più colori di noi, ma vederli in azione è stato davvero emozionante”, racconta Stoddard. Per capire quanto i colori ultravioletti siano comuni in natura, i ricercatori hanno osservato la luce riflessa da più di duemila piante e quasi mille campioni di piume di uccelli. In entrambi i casi hanno scoperto che circa il 30 per cento dei campioni aveva un colore ultravioletto visibile dai colibrì e, molto probabilmente, anche da altri uccelli e animali. “Molti pesci e rettili hanno quattro coni, uno dei quali è sensibile alla luce ultravioletta, una caratteristica che ha radici evolutive profonde”, spiega Stoddard. “Probabilmente anche i dinosauri avevano quattro coni, e vedevano colori come il verde e il rosso ultravioletto”.
Il prossimo passo sarà capire in che modo la percezione di colori a noi invisibili influenzi il comportamento dei colibrì e di altre specie. Gli esperimenti indicano che non tutte le coppie di colori sono distinguibili con la stessa facilità. “Forse i colibrì imparano a usare certi colori quando abbondano nell’ambiente circostante”, ipotizza Stoddard. “Per esempio, la settimana in cui fiorisce l’Ipomopsis aggregata potrebbero imparare meglio a distinguere i rossi. E chissà quanti altri fattori influenzano il fenomeno”. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1364 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati