La mattina dell’8 gennaio nel quartiere di Highland Park, a Los Angeles, l’alba non è mai arrivata. La luce mattutina che di solito entra nella mia casa è passata dal buio totale a diverse gradazioni di arancione, mentre il fumo degli incendi di Eaton Canyon avvolgeva le colline. Fuori dalla finestra una donna usava la torcia del cellulare per portare a spasso il cane. Io ho portato il mio a fare a malapena il giro dell’isolato. L’aria carica di fuliggine era secca e pungente. Un vento implacabile ci colpiva con una combinazione di aghi di pino, pezzi di corteccia e cenere. Osservavo i miei vicini che caricavano le macchine di buste di plastica e valigie. Quando siamo rientrati, i telefoni hanno cominciato a squillare per gli avvisi di evacuazione.

La casa era piuttosto affollata: tre adulti di mezza età, una bambina di sei anni e un cane. La sera prima la mia migliore amica e la mia figlioccia, dopo che la corrente elettrica era andata via nella loro casa di Altadena, avevano deciso di ammazzare il tempo come si fa a Los Angeles, andando al fast food. Le interruzioni di corrente causate dai venti di Santa Ana non sono rare a Los Angeles, e nonostante l’incendio di Palisades stesse infuriando, molti cercavano di comportarsi come se nulla fosse. Forse l’unico modo per sopravvivere in una città esposta al rischio di incendi è non pensare alla minaccia costante. Ma quando hanno ricevuto i loro hamburger, la strada era ormai in fiamme e il cielo della notte si era tinto di giallo a causa dell’incendio di Eaton Canyon, a pochi isolati di distanza. Appena sono arrivate a casa mia, la corrente è mancata subito anche lì. Il marito della mia amica si è procurato tutte le candele disponibili nel raggio di qualche chilometro.

Dal salotto abbiamo inviato messaggi ad amici e vicini per scoprire come stavano i bambini, in che condizioni erano le case e come procedevano i piani di evacuazione. Fuori il rumore del vento era terrificante. Ogni folata avrebbe potuto portare le braci fino a noi, spazzando via case, negozi o la maggior parte di una comunità, com’è poi successo.

Altadena è una località con 40mila abitanti annidata tra le pendici dei monti San Gabriel. Ho trascorso molto tempo qui e ormai conosco il fascino della zona. Quando la gente pensa alla vita nelle colline intorno a Los Angeles, di solito ha in mente le case di lusso e i vip. Ma Altadena è un quartiere etnicamente ed economicamente molto vario, e la classe media è ancora al suo centro.

Un posto tranquillo

Altadena è stata fondata alla fine degli anni ottanta dell’ottocento da due ricchi fratelli arrivati dall’Iowa. Presto molte persone che avevano trovato un lavoro nella vicina Pasadena si sono stabilite lì. Negli anni sessanta, dopo una lunga battaglia contro i mutui maggiorati per le minoranze razziali, gli afroamericani hanno cominciato a comprare casa ad Altadena. La loro presenza ha trasformato la zona in una delle prime comunità integrate della classe media di Los Angeles. Oggi gli abitanti sono molto orgogliosi della loro storia. Nel 1960 Altadena era popolata al 95 per cento da bianchi, ma oggi sono appena il 46 per cento, mentre il resto è composto soprattutto da neri e ispanici.

Anche per questo, quando la mia amica e suo marito hanno deciso di tornare in California per crescere la figlia di etnia mista nera e latina, hanno scelto Altadena. Tra i genitori che incontravano a scuola della figlia c’erano commercianti, collaboratori domestici e dipendenti pubblici. Hanno fatto amicizia con i vicini, tra cui un’insegnate delle scuole pubbliche che viveva dall’altra parte della strada. L’8 gennaio la loro casa è stata rasa al suolo dalle fiamme.

Negli ultimi anni – soprattutto dall’inizio della pandemia di covid-19, quando la diffusione del lavoro da remoto ha permesso alla gente di vivere lontano dal centro e da West Los Angeles – i prezzi delle case ad Altadena si sono impennati. Ma i nuovi arrivati non erano speculatori o aziende che affittano le case su Airbnb. Erano famiglie che cercavano un posto dove stabilirsi a lungo termine, come quella della mia amica. Il 78 per cento delle case di Altadena è ancora abitato dai proprietari: non è raro incontrare persone che ci vivono da decenni o addirittura famiglie che sono qui da una o due generazioni.

Tutto questo crea una forte atmosfera di comunità. Si infornano biscotti da regalare ai vicini e ci si invita per bere un bicchiere in compagnia. I bambini vanno in giro la sera di Halloween senza bisogno di un adulto che li accompagni.

L’economia locale era, appunto, locale. Fatta eccezione per qualche fast food e un paio di farmacie di grandi catene, il quartiere era il massimo della conduzione familiare a cui si possa aspirare oggi. Per venticinque anni i ragazzi di Altadena e Pasadena hanno scoperto le arti marziali grazie alla palestra Two Dragons. Le persone che si incontrano al Rancho, il più frequentato pub del quartiere, spesso vanno in vacanza insieme. Se ti annoi puoi portare la famiglia al Bunny museum e ammirare trentamila oggetti legati ai conigli.

Tutte le attività commerciali che ho appena citato sono state spazzate via dagli incendi. Un funzionario locale ha dichiarato che “probabilmente metà dei piccoli negozi non esiste più”. Più di cinquemila edifici sono stati distrutti. Su internet circola un google doc non ufficiale che registra gli effetti della devastazione. L’8 gennaio il ritmo veniva aggiornato a un ritmo spaventoso. Ogni nuovo indirizzo era legato a una persona o a un negozio che conoscevi. Su Facebook una donna cercava un anziano di nome Willie che viveva vicino a un incrocio. “Non so il suo cognome”, aveva scritto. “Ci parlo ogni giorno quando passeggio. Vorrei assicurarmi che stia bene”.

Molte persone si trovano nella stessa situazione della mia amica. Hanno dovuto fuggire e non sono sicure che la loro casa sia ancora in piedi. Dieci ore dopo essere arrivate da me, la mia amica e la sua famiglia hanno scoperto che avrebbero dovuto partire di nuovo. Stavano evacuando anche il mio quartiere.

Ho sempre giudicato male le persone che decidono di restare nelle loro case anche davanti a un disastro naturale. Quando mi è toccato vivere la stessa situazione, però, ho capito. Chi mai avrebbe potuto accoglierci? Per quasi un’ora siamo rimasti a guardarci tra noi, paralizzati. Alla fine un generoso amico di Palm Springs ci ha fatto sapere che a casa sua c’era posto e siamo saliti in macchina.

Ma altri sono rimasti o hanno provato a tornare a casa. Hanno innaffiato il prato degli assenti per impedire alle braci volanti di attecchire, si sono offerti di entrare nelle case per recuperare gli oggetti personali e hanno fatto fotografie dei danni.

Mentre attraversavamo l’alone di fumo nero che copriva Los Angeles, abbiamo visto delle roulotte ribaltate dal vento. I nostri telefoni continuavano a ricevere messaggi a ripetizione che annunciavano la distruzione delle case e i piani di alloggio d’emergenza. Tutti sperano che le evacuazioni siano temporanee, ma potrebbero anche diventare definitive, a seconda dei risarcimenti delle assicurazioni e dalla riapertura delle scuole. “Speriamo di rivedervi tutti, un giorno”, ha scritto un genitore in una chat di cui fanno parte i miei amici. La sua famiglia era diretta a casa di alcuni parenti e lui sapeva che forse non sarebbero riusciti a tornare. Alcuni ragazzi hanno usato FaceTime per salutare i compagni di classe. I bambini non capiscono ancora cosa sia successo al posto che considerano casa.

Capitalismo dei disastri

Tutta Los Angeles, a prescindere dalle classi sociali, è unita in una sensazione di perdita profonda e traumatica. Sono bruciate scuole, istituzioni culturali, attività commerciali che fanno sentire a casa la gente. Ma c’è anche una tristezza secondaria che incombe sulla classe media e su chiunque viva vicino alla soglia di povertà: Altadena sarà ricostruita, ma in che modo? E per chi?

Sul gruppo Facebook di Altadena, gli abitanti si aiutano a compilare i moduli per l’assistenza nei disastri e incoraggiano tutti a presentare al più presto le richieste di risarcimento all’assicurazione. Ma in privato nessuno si fa illusioni. Sanno che le compagnie faranno il possibile per non pagare, e che i risarcimenti copriranno una minima parte del valore delle case e dei costi di ricostruzione. Gli insegnanti potranno ancora permettersi di vivere lì? E i pompieri? Dove andranno tutte queste persone, in una regione che è già afflitta dalla scarsità di alloggi a buon mercato?

Anche se non tutti conoscono l’espressione “capitalismo dei disastri”, coniata dalla scrittrice Naomi Klein, quasi ogni statunitense ne conosce gli effetti. Il meccanismo è semplice: dopo un disastro naturale gli abitanti sono costretti a lasciare la loro casa e i negozianti sospendono l’attività. Il loro ritorno viene ritardato (a volte indefinitamente) dal mancato ripristino delle infrastrutture come le scuole e la rete elettrica. Costretti a trovare una stabilità per la loro famiglia, gli sfollati si costruiscono una nuova vita altrove, pur di smettere di “aspettare” di poter tornare a casa. Al loro posto arrivano gli imprenditori edili e le società d’investimento, che rimodellano la zona per attirare i ricchi e gli straricchi.

È successo a New Orleans dopo l’uragano Katrina, a Puerto Rico dopo l’uragano Maria e nelle aree costiere di Brooklyn e Manhattan dopo l’uragano Sandy. L’economia di Los Angeles era già in uno stato precario, con la crisi degli alloggi e un eccesso di lavoratori nell’industria della tv e del cinema. È facile immaginare che senza l’intervento del governo anche qui si ripeterà la stessa storia. Il costo della vita a Los Angeles era già proibitivo prima del disastro. Quante famiglie saranno in grado non solo di tirare avanti ma anche di ricostruire la loro vita?

Quando la mia migliore amica si è trasferita a Los Angeles ero profondamente depressa, perché sarebbe scomparsa dalla mia vita a Brooklyn. Ma nei due anni successivi le ho fatto visita spesso, e ho imparato ad amare questo posto. Qui ho trovato la stessa generosità e la stessa determinazione che erano state soffocate nella mia città. È doloroso immaginare che Altadena possa andare incontro allo stesso destino.

Le accuse di incompetenza alle autorità locali stanno già circolando. Ma ora l’amministrazione deve rimboccarsi le maniche. L’aiuto federale è fondamentale, ma lo è anche riaprire rapidamente le scuole e avviare la ricostruzione delle piccole attività. Altadena non ha bisogno di avvoltoi in cerca di profitto, ma di progetti creativi che possano proteggere e rafforzare la comunità.

Quando avranno superato il trauma, sono sicura che gli abitanti faranno la loro parte. ◆ as

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1597 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati