23 giugno 2015 17:59
Due lavoratori dell’azienda nazionale di idrocarburi YPFB, nello stato di Santa Cruz, in Bolivia, nel maggio 2013. (David Mercado, Reuters/Contrasto)

L’esecutivo boliviano ha autorizzato l’esplorazione di giacimenti petroliferi nelle aree del paese protette per motivi ambientali. Le organizzazioni non governative hanno contestato l’iniziativa, ma il presidente Evo Morales ha minacciato di espellerle dalla Bolivia se dovessero ostacolare lo sviluppo industriale nazionale. Lo stato, che ha già firmato accordi con imprese straniere, ha promesso un compenso in denaro per le comunità indigene che vivono nelle zone protette pari all’1 per centodegli investimenti fatti dalle aziende per i progetti di esplorazione.

Il 20 maggio scorso è stato approvato il decreto supremo 2366 che apre 11 delle 22 aree protette del paese alla ricerca e all’eventuale sfruttamento del petrolio da parte del colosso energetico statale Yacimientos petrolíferos fiscales bolivianos (Ypfb) e delle imprese straniere che hanno già firmato accordi con il governo di La Paz. Tra queste, la multinazionale francese Total, la spagnola Repsol, la brasiliana Petrobras, la russa Gazprom, la cinese Eastern petroleoum and gas e la joint venture boliviano-venezuelana Petro Andina. Per il momento l’attività di esplorazione, che comincerà nel 2016, riguarda 7 zone che si trovano nelle aree di Chuquisaca, Santa Cruz, Tarija, Cochabamba, Beni e La Paz.

Con l’aggiunta di queste aree finora protette, la superficie totale in cui possibile esplorare ed estrarre idrocarburi si estende per circa 24 milioni di ettari e costituisce il 22 per cento dell’intero territorio nazionale. I nuovi progetti sarebbero 86: l’obiettivo del governo è individuare nuovi giacimenti, dato che quelli attualmente sfruttati si esauriranno entro dieci anni, e garantire così lo sviluppo dell’industria petrolifera, il motore dell’economia nazionale. La Bolivia rappresenta un’importante fonte di approvvigionamento per i mercati latinoamericani, come quello argentino, peruviano, brasiliano e paraguaiano.

L’esecutivo di La Paz assicura che verranno impiegate le migliori tecnologie per arrecare il minor danno possibile all’ecosistema. Ma le organizzazioni non governative sono sul piede di guerra. Gli attivisti hanno criticato duramente Evo Morales, sostenendo che il presidente boliviano approva un provvedimento dannoso per l’ambiente, mentre si erge a leader della lotta mondiale contro il riscaldamento globale e fautore di un tipo di sviluppo che rispetta le comunità indigene.

In particolare, il movimento ecologista teme l’eliminazione di un obbligo che, finora, le imprese petrolifere hanno dovuto rispettare: quello di consultare gli indigeni, che vivono nelle aree protette, prima di cominciare i lavori. Con la nuova legge, le imprese potranno limitarsi a rimborsare le comunità locali destinando loro l’1 per cento degli investimenti che effettueranno per realizzare i loro progetti. Morales ha accusato le ong di ostacolare la crescita economica nazionale, affermando che i boliviani non faranno i “guardaboschi” per i paesi sviluppati.

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