24 giugno 2015 18:49
Jay Cook e Danny Wong con i figli Kai e Jayden partecipano alla parata a West Hollywood, Los Angeles. (Mario Anzuoni, Reuters/Contrasto)

Nei prossimi giorni sono attese alcune sentenze dalla corte suprema, il massimo organo giudiziario negli Stati Uniti. Si tratta di sette casi su cui la corte dovrebbe pronunciarsi per chiudere il suo mandato del 2014, l’anno giudiziario, prima della pausa estiva. I verdetti più importanti riguarderanno l’approvazione dei matrimoni gay in tutti gli stati del paese e un aspetto della riforma sanitaria dell’amministrazione Obama. La corte renderà note le sue decisioni tra le sedute di giovedì 25 giugno, venerdì 26 e lunedì 29.

Matrimoni gay

Negli Stati Uniti a livello federale il matrimonio omosessuale è già equiparato a quello etero, grazie a una sentenza del giugno 2013. Fino ad oggi però alcuni stati potevano rifiutarsi sia di celebrare i matrimoni gay sia di riconoscere quelli celebrati in un altro stato. Nel caso Obergefell v. Hodges la corte dovrà stabilire se vietare alle coppie omosessuali di sposarsi rappresenti una violazione del quattordicesimo emendamento della costituzione, ratificato dopo la guerra civile per garantire la parità dei cittadini davanti alla legge. La corte ha accettato di affrontare il caso nel gennaio scorso, per dirimere un conflitto tra corti d’appello federali che hanno una giurisdizione sovrastatale.

Da un lato, le corti del nono circuito (ovest), del decimo (midwest), del settimo (Grandi laghi) e del quarto (sudest) hanno sancito l’esistenza di un diritto costituzionale al matrimonio per le coppie dello stesso sesso, cancellando le norme statali che definivano l’unione coniugale solo eterosessuale. Dall’altro, la corte d’appello del sesto circuito – con giurisdizione su Michigan, Ohio, Tennessee e Kentucky – ha confermato il diritto degli stati a mantenere una definizione tradizionale di matrimonio.

È stata questa sentenza a essere impugnata da gay e lesbiche che rivendicano il diritto a sposarsi nello stato in cui vivono o chiedono che il loro stato riconosca il matrimonio contratto altrove. La diversa interpretazione della costituzione fornita dalla corte d’appello del sesto circuito ha determinato l’intervento della corte suprema che ha, tra l’altro, il compito di garantire l’uniforme applicazione del diritto a livello nazionale. Se dovesse decidere che i divieti opposti dai quattro stati fossero incostituzionali, la corte imporrebbe di fatto a tutti gli stati di concedere licenze di matrimonio alle coppie omosessuali.

Riforma sanitaria

Nelle mani della corte suprema c’è anche il destino dell’Affordable Care Act, la riforma sanitaria del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Il caso King v. Burwell riguarda l’assegnazione dei crediti d’imposta a milioni di americani che hanno acquistato una polizza assicurativa. La riforma, meglio nota con il nome di Obamacare, prevede i crediti d’imposta in tutti gli stati, anche in quelli che hanno deciso, come previsto, di non creare un mercato online - di fatto un sito internet - dove stipulare un’assicurazione scegliendo tra le varie polizze a disposizione, e hanno invece lasciato il compito alle autorità federali, che hanno per questo creato il sito healthcare.gov.

Secondo i quattro cittadini della Virginia che hanno sollevato il caso, la legge autorizzerebbe la concessione dei crediti d’imposta solo negli stati che hanno creato un loro mercato online, che sono 13 su 50, più il District of Columbia. A un certo punto della legge c’è scritto infatti che i sussidi federali possono essere garantiti a “coloro che hanno comprato una copertura sanitaria nei mercati stabiliti da ciascuno stato come stabilito nella sezione 1311”.

I mercati previsti dalla sezione 1311 sono però solo quelli messi in piedi dai singoli stati e non quelli creati appoggiandosi al mercato federale, previsti dalla sezione 1321. L’amministrazione Obama ha già fatto sapere che i sussidi sono una parte fondamentale della riforma e che una distinzione così importante sarebbe stata sottolineata altrove, ma in ballo ci sono comunque centinaia di dollari al mese per circa 8 milioni di persone: la fine dei crediti d’imposta potrebbe generare una serie di conseguenze che metterebbe a rischio il funzionamento dell’intera riforma.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it