15 ottobre 2015 15:59

Stavolta la rotta migratoria è un’altra, verso il Sudafrica, ma anche qui il sogno si trasforma in un incubo: più di 300 migranti etiopi, che hanno già scontato una pena o pagato una multa per l’ingresso illegale in Malawi, si trovano ancora rinchiusi in carceri sovraffollate perché non hanno i soldi per tornare nel loro paese.

“Questa prigione è l’inferno in terra. Siamo prigionieri anche se abbiamo pagato la multa”, racconta in lacrime all’Afp Eyasu Tadiya, 15 anni, detenuto a Dedza, nel sud del Malawi.

Eyasu, un adolescente dal fisico gracile, spiega che voleva ritrovare suo padre in Sudafrica. “Ma il mio viaggio finisce qui, preferisco tornare in Etiopia che soffrire in questo modo”, aggiunge. Faceva parte di un gruppo di 29 etiopi arrestati a luglio in Malawi dopo essersi nascosti per cinque giorni nella foresta, senza cibo. Ha anche pagato una multa pari a 55 euro, ma è ancora detenuto. La maggior parte dei suoi compagni di viaggio non ha potuto pagare la multa ed è stata condannata a sei mesi di carcere.

Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), in mancanza del denaro per rimpatriare, 317 migranti etiopi sono tuttora detenuti in alcune prigioni del Malawi. Alcuni hanno scontato la pena da oltre nove mesi. L’Oim ha lanciato un appello per raccogliere circa 190mila dollari.

“Sono stati quasi tutti processati, condannati e multati, ma sono ancora in carcere, in attesa di essere rispediti nel loro paese”, ha ammesso il giudice malawiano Ken Manda. “I migranti detenuti hanno moltissimi problemi, dal punto di vista dei diritti umani e della salute”.

La conseguenza di questa situazione è la diffusione di infezioni cutanee e altre malattie legate alla mancanza di igiene e alla malnutrizione

Nel carcere di Dedza sono presenti 380 detenuti contro una capienza di cento persone, ammette un responsabile dell’istituto. “Abbiamo molti problemi, soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione. Serviamo loro solo un pasto al giorno a metà pomeriggio, di solito un porridge denso con i fagioli. Dormono in più di cinquanta in una cella pensata per venti detenuti”.

La situazione è ancora più grave nel carcere di Maula, a Lilongwe, in cui si trova la maggior parte dei migranti etiopi arrestati. L’istituto ospita 2.650 detenuti contro una capacità di 800 persone, secondo le cifre ufficiali.

Secondo Medici senza frontiere (Msf), che opera nel carcere, la conseguenza di questa situazione è la diffusione di infezioni cutanee e altre malattielegate alla mancanza di igiene e alla malnutrizione.

Abebe Aleme, che avrebbe già scontato la sua pena, a Maula dorme per terra, sul cemento. “Nel nostro paese non abbiamo abbastanza per vivere. Se lavoro in Sudafrica per due o tre anni, alla fine avrò i soldi per comprarmi una casa. In Etiopia, anche se lavori per vent’anni non ottieni niente”, aggiunge.

Molti etiopi, somali e altri africani in cerca di una vita migliore cercano di arrivare in Sudafrica, il paese dall’economia più industrializzata del continente. Durante il viaggio verso sud passano per il Malawi, un piccolo stato povero dell’Africa australe.

Lilongwe accusa questi migranti di rappresentare una “minaccia alla sicurezza”. Ma, come ha constatato un giornalista dell’Afp a fine settembre, quando sono stati rimpatriati 70 detenuti etiopi, all’aeroporto di Lilongwe le autorità malawiane non avevano adottato nessuna misura di sicurezza particolare.

“La maggior parte di loro è colpevole solo di sognare una vita migliore in Sudafrica. Non c’è motivo per cui debbano essere rinchiusi da mesi in un carcere di massima sicurezza, non sono colpevoli di nessun altro reato”, afferma Amaury Grégoire, capo della missione di Msf in Malawi.

Ultimamente la vita quotidiana dei detenuti etiopi è leggermente migliorata grazie alla generosità di Concerned citizens, una ong locale che fornisce loro cibo, vestiti, sapone e servizi di traduzione. “È terribile vedere queste persone soffrire lontano da casa”, dice Catherine Sani, esponente dell’organizzazione.

“Le migrazioni verso sud non si fermeranno”, è la previsione di Msf. “Bisogna quindi trovare soluzioni a medio e a lungo termine per ridurre al minimo i tempi di detenzione in condizioni disumane”.

(Traduzione di Cristina Biasini)

Questo articolo è stato pubblicato dall’Agence France-Presse.

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