03 gennaio 2016 15:45

L’imam Nimr al Nimr, 56 anni, era un leader religioso sciita, oppositore della dinastia sunnita Al Saud, al governo dal 1926 in Arabia Saudita. Il religioso è stato una figura di spicco del movimento di protesta sorto nel 2011, sulla scia delle primavere arabe, nella parte orientale del paese.

La provincia orientale dell’Arabia Saudita, ricca di petrolio, è abitata da popolazioni di religione sciita, che sono escluse dai processi politici nel paese. In Arabia Saudita gli sciiti sono due milioni, su una popolazione di 18 milioni di persone: una minoranza che spesso è emarginata e costretta a subire gli abusi delle forze di polizia. Per il wahabismo, un movimento ultraortodosso sunnita nato in Arabia Saudita e molto diffuso nel paese, gli sciiti non sono veri credenti.

L’imam Al Nimr era famoso per i suoi sermoni molto aggressivi nei confronti della casa reale: nel 2012 si era detto contento per la morte del principe ereditario Nayef. Nel 2011 aveva chiesto la secessione della regione orientale dell’Arabia dal resto del paese e la sua fusione con il vicino Bahrein, attraversato in quel momento dalla rivolta della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita Al Khalifa, alleata dei sauditi Al Saud.

Al Nimr riscuoteva molto seguito tra i giovani di Qatif, il capoluogo della costa orientale del paese, che ammiravano la severità con cui criticava il governo saudita. Tuttavia il religioso non ha mai incitato a una rivolta armata o all’uso della violenza contro la casa reale. Anzi, aveva preso le distanze dalle violenze di un gruppo di sciiti radicali di Awamiyah, un quartiere di Qatif. La sua cautela, tuttavia, non è servita.

L’imam era stato condannato a morte nell’ottobre 2014 per “terrorismo”, “sedizione”, “disobbedienza al sovrano” e “possesso di armi” da un tribunale di Riyadh. Il suo arresto nel luglio 2012 aveva provocato violente proteste in tutto il mondo e il processo era stato giudicato irregolare dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani. In molti si aspettavano che la condanna a morte sarebbe stata trasformata in un ergastolo. Tuttavia il re Salman, salito al potere dopo la morte del fratellastro Abdullah nel gennaio del 2015, non ha voluto mostrare clemenza per apparire inflessibile agli occhi dell’Iran, potenza rivale a maggioranza sciita nella regione. L’esecuzione di Al Nimr, in effetti, è stata interpretata da Teheran come una provocazione.

Gli analisti temono che l’esecuzione inasprirà la violenza settaria nella regione e peggiorerà le relazioni già tese tra Arabia Saudita e Iran, che appoggiano due fronti opposti, sia nella guerra in Siria sia nello Yemen. E questo proprio mentre si cerca una soluzione diplomatica ai due conflitti: il 25 gennaio è previsto che comincino i colloqui di pace per la Siria sotto l’egida dell’Onu e sempre a gennaio è in programma un secondo round di negoziati tra le fazioni in guerra nello Yemen. In concomitanza con l’esecuzione di Al Nimr il 2 gennaio, la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita ha annunciato la fine del cessate il fuoco in vigore dal 15 dicembre nello Yemen.

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