04 maggio 2016 15:18

Quando le compagnie aeree hanno cominciato a installare le “tail cam”, le telecamere che mostrano in diretta le immagini del volo ai passeggeri, l’idea era di offrire una visuale “dal punto di vista di Dio”. Per chi ha paura di volare però è un’esperienza terrificante.

Pochi giorni fa, durante un volo transatlantico, un signore ansioso seduto accanto a me ha fissato le immagini della telecamera sul retro per otto ore di fila, controllando l’aereo (e la velocità del volo) a caccia di ogni minimo segnale di un guasto. Forse aveva paura che se si fosse distratto sarebbe stata la fine per tutti noi. Solo quando l’aereo si è fermato al gate le sue mani hanno smesso di stringere i braccioli del sedile.

Nei paesi sviluppati, tra il 2 per cento e il 3 per cento delle persone soffrono di aerofobia, un’intensa e irrazionale paura di volare. Tra i sintomi ci sono un aumento della pressione sanguigna, iperventilazione, disturbi gastrici e attacchi di panico. Chi ne soffre di solito sa bene che l’aereo è uno dei mezzi di trasporto più sicuri, ma non è in grado di liberarsi della paura di un incidente o di mantenere il controllo su se stessi.

Di questi sintomi soffrono anche le persone affette da claustrofobia o dalla sindrome da stress postraumatico: possono non essere aerofobe ma temono comunque un volo di dieci ore in economy. Poi ci sono tantissimi viaggiatori – secondo alcune stime un quarto degli statunitensi – che semplicemente non si sentono a proprio agio all’idea di mettersi dentro un pezzo di metallo da cento tonnellate che sfreccia attraverso la stratosfera a diverse centinaia di chilometri all’ora.

Quando si è sbattuti da una parte all’altra a causa di una turbolenza è difficile gioire pensando alla fisica del profilo alare o alle basse statistiche storiche sugli incidenti mortali. Perfino i membri dell’equipaggio, nonostante il loro atteggiamento posato, hanno la tremarella: da un sondaggio condotto su mille persone tra addetti del personale di terra e assistenti di volo è venuto fuori che circa il 10 per cento ha paura almeno una volta al mese.

Nella sua forma peggiore, l’aerofobia può essere paralizzante; nel migliore dei casi, è un grave inconveniente. Chiedetelo a Dennis Bergkamp, un calciatore olandese soprannominato “l’olandese non volante”, che otteneva per contratto la possibilità di non giocare partite in luoghi troppo lontani, o a Whoopi Goldberg, l’attrice statunitense che aveva l’abitudine di girare gli Stati Uniti in autobus.

Coprire in automobile il tragitto medio di un volo senza scalo è 65 volte più pericoloso

Questo disturbo è penalizzante dal punto di vista economico, sia per i passeggeri sia per le compagnie aeree. Una ricerca pubblicata trent’anni fa ha stabilito che la paura di volare costava alle compagnie aeree statunitensi il 9 per cento circa dei loro profitti, ossia 1,6 miliardi di dollari nel 1978.

I danni non sono solo economici. Coprire in automobile il tragitto medio di un volo senza scalo è 65 volte più pericoloso. Si pensa che più di 300 statunitensi sarebbero morti dopo aver smesso di viaggiare in aereo e aver scelto gli spostamenti su strada in seguito agli attacchi dell’11 settembre.

Come si può affrontare la paura di volare? Ci sono vari tipi di trattamento, dagli alcolici ai sedativi prescritti da un medico (che, come nel caso di BA Baracus, l’eroe aerofobico dell’A-Team, possono essere mescolati al latte di un passeggero ignaro).

Meglio affidarsi a quattro tipi di terapie efficaci. La prima è di tipo comportamentale. Comprende esercizi di respirazione, simulazioni di volo, interazione con i piloti di linea. Alla fine si sale su un aereo e si prende il volo. In un esperimento clinico condotto nel 2006 su 50 pazienti, 49 alla fine hanno “superato” il corso e sono riusciti a prendere un aereo. Tutti volavano in modo autonomo un anno dopo. Ad altri 50 pazienti è stata proposta anche una terapia cognitiva, che gli ha insegnato a controllare l’ansia. Tutti hanno superato il corso, un risultato raggiunto da nessuno dei pazienti nel gruppo di controllo (inseriti in una lista d’attesa durante l’esperimento, al termine del quale erano stati invitati a prendere un aereo).

Alla luce di questo successo, e nella speranza di tamponare i costi dell’aerofobia, ci sono molti corsi di un giorno per combattere la paura di volare, che includono elementi della terapia comportamentale e cognitiva. Tuttavia, chi è affetto da questa fobia e non ha voglia di passare una giornata in terapia all’aeroporto ha una terza possibilità: la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (edmr), attraverso cui un dottore cerca di distrarre il cervello (con luci o suoni) mentre il paziente sta immaginando qualcosa di negativo. Nonostante la sua stranezza, il metodo ha più o meno la stessa efficacia della terapia comportamentale.

La quarta opzione riguarda un’esperienza “dal punto di vista di Dio” molto diversa da quella offerta dall’intrattenimento durante il volo. Invece di salire su un aereo, i pazienti superano il corso attraverso una serie di voli realizzati con la realtà virtuale, con turbolenze simulate. Anche in questo caso, il trattamento ha mostrato un livello di efficacia paragonabile a quello della terapia comportamentale. E con la proliferazione di dispositivi di realtà virtuale ormai accessibili a prezzi ragionevoli, le possibilità di curare l’aerofobia potrebbero essere più alte che mai, usando le telecamere per dare conforto e non per terrorizzare. Se solo BA Baracus fosse ancora tra noi.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo di Y.T. è apparso nel blog Gulliver del settimanale britannico The Economist.

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