23 agosto 2016 16:51

Quando ha tagliato il traguardo della maratona alle Olimpiadi di Rio de Janeiro l’atleta etiope Feyisa Lilesa ha incrociato le mani sulla testa disegnando una X. La maggior parte di quelli che hanno visto il gesto in diretta non hanno capito quanto fosse pericoloso per Lilesa, che stava protestando contro l’uccisione di centinaia di persone di etnia oromo in Etiopia. Il più grande gruppo etnico del paese protesta da mesi contro il piano del governo di espropriare le sue terre. Ma queste proteste sono state represse nel sangue.

Per mesi gli oromo hanno usato lo stesso gesto di Lilesa per protestare contro l’incarcerazione di centinaia di persone. In una conferenza stampa il corridore ha ribadito il suo messaggio: “Il governo etiope sta uccidendo il mio popolo”, ha detto Lilesa. “La mia famiglia è in prigione e se si parla di diritti si viene uccisi”, ha detto il maratoneta ai giornalisti dopo la gara.

In pochi secondi l’atleta è passato da essere un eroe nazionale a rischiare di non poter tornare nel suo paese d’origine, tanto che qualche giorno dopo, il 23 agosto, ha fatto domanda d’asilo. In Etiopia la tv di stato non ha mandato in onda la replica della gara in cui Lilesa è arrivato secondo.

“Se torno in Etiopia, forse mi uccideranno. Se non mi uccideranno, mi metteranno in prigione”, ha detto il maratoneta. Non è la prima volta che un atleta etiope prende in considerazione la possibilità di scappare durante una trasferta. Nel 2014 quattro maratoneti etiopi hanno chiesto l’asilo negli Stati Uniti, dopo aver partecipato ai campionati internazionali a Eugene, nell’Oregon.

La repressione contro gli oromo in Etiopia

L’Oromia è la più grande regione dell’Etiopia e circonda la capitale Addis Abeba: gli
oromo sono il più nutrito degli 80 gruppi etnici presenti nel paese e rappresentano circa un terzo dei 95 milioni di abitanti del paese. Il Congresso federalista Oromo (Ofc) è il più grande partito dell’Oromia, ma non ha seggi in parlamento.

Le proteste sono scoppiate lo scorso novembre, scatenate da un piano del governo di espropriare le terre degli oromo per espandere il confine amministrativo della capitale, Addis Abeba. La proposta è stata ritirata a gennaio, ma le proteste sono continuate. Gli oromo chiedono il rispetto dei diritti umani nel paese, giustizia per le persone morte durante le proteste e la liberazione dei manifestanti che sono stati messi in carcere dal governo. Secondo Human Rights Watch (Hrw), più di 500 persone sono state uccise nelle proteste, ma il governo non ha confermato queste cifre.

Il 6 e 7 agosto nelle proteste che sono scoppiate nella regione di Oromia e di Amhara sono state uccise un centinaio di persone nelle manifestazioni che non erano autorizzate. Internet è stato bloccato dalle autorità per due giorni.

Il rapporto di Hrw si basa sulla testimonianza di cento persone, che accusano la polizia e l’esercito di un uso eccessivo della forza durante le manifestazioni e dopo essere stati incarcerati. Alcuni degli intervistati hanno raccontato di essere stati appesi per le caviglie e picchiati, altri raccontano di aver ricevuto scosse elettriche. Molte donne hanno detto di essere stata molestate e violentate. Secondo Hrw, decine di migliaia di persone sono state arrestate e centinaia sono scomparse.

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