13 aprile 2020 12:36

Che il covid-19 colpisca le persone senza distinzione di classe o di ceto è opinione comune. Ed è certamente vero. Ma ci sono gruppi sociali che più di altri sono esposti alle conseguenze dell’epidemia. Per esempio i cittadini rom dei paesi dell’Europa centrale e orientale, che vivono in condizioni igienicamente precarie, senza accesso ai servizi essenziali, alla sanità e al welfare. “In Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia come in Bulgaria, Romania, Serbia e Kosovo, i rom sono spesso confinati in quartieri sovraffollati, con infrastrutture carenti, spesso privi di fognature e acqua corrente”, scrive Balkan Insight in un’inchiesta intitolata Roma: Europe’s neglected coronavirus victims (I rom, le vittime dimenticate del coronavirus in Europa). “Per decenni i loro problemi sono stati ignorati dai governi, che non si sono mai occupati di intervenire negli insediamenti rom per portare i servizi di base. Il risultato è che oggi queste comunità, e quindi i paesi in cui si trovano, sono particolarmente minacciate dalla pandemia”.

“I rom vivevano in condizioni di grande povertà anche prima della diffusione del covid-19”, aggiunge su Kosovo 2.0 Dalibor Tanić, attivista per i diritti dei rom e direttore del sito d’informazione bosniaco Udar. “La pandemia ha solo moltiplicato le loro difficoltà, non ultime quelle economiche, mettendoli di fronte a un possibile disastro sanitario. Qualcuno dirà che in fondo siamo tutti sulla stessa barca, il che in qualche modo è innegabile. Ma le comunità rom non sono in grado di affrontare la crisi da sole. E difficilmente riceveranno dalle autorità l’aiuto di cui hanno bisogno”.

La difficoltà al momento più evidente è l’impossibilità di rispettare le regole del cosiddetto distanziamento sociale: la maggior parte dei rom vive infatti in abitazioni piccole e sovraffollate e gli spazi aperti nei loro quartieri sono pochi e angusti. C’è poi la questione dell’insegnamento a distanza, che in questi giorni per milioni di bambini sta sostituendo la normale didattica scolastica. In queste comunità rom sono poche le famiglie che hanno un computer e l’accesso a internet, e anche dove le lezioni a distanza sono trasmesse in tv (in Serbia e in Macedonia del Nord, per esempio) la situazione non è necessariamente migliore: quando ci sono, e quando c’è l’elettricità, le tv si trovano sempre in ambienti comuni, dove concentrarsi per studiare o ascoltare una lezione è praticamente impossibile. Per molti bambini rom la conseguenza sarà la perdita dell’anno scolastico e, in alcuni casi, l’abbandono della scuola.

Addio lavoretti
Negli insediamenti della comunità è complicatissimo anche rispettare le norme igieniche essenziali per evitare la diffusione del virus. In mancanza di acqua corrente, anche il semplice gesto di lavarsi le mani può diventare un’impresa impossibile. Inoltre molti rom non hanno accesso ai servizi sanitari. In Kosovo, per esempio, solo il 10 per cento dei maggiori di sedici anni ha un’assicurazione sanitaria, mentre in Albania la cifra sale al 27 per cento.

Sotto il profilo economico la situazione non è più semplice: “Oggi viene chiesto alla gente di stare in casa e di osservare le regole rigorose della quarantena”, scrive Balkan Insight. “Ma decine di migliaia di rom, soprattutto nei paesi dei Balcani occidentali, si guadagnano la vita con impieghi precari giorni per giorno: vendono qualcosa al mercato, fanno lavoretti giornalieri, raccolgono materiali da riciclare. Altri, invece, si spostano regolarmente nei paesi dell’Unione europea per lavori temporanei o per comprare beni da rivendere nel proprio paese. Tutte le loro fonti di reddito sono scomparse”.

C’è poi il fatto che molto spesso le piccole attività imprenditoriali dei rom, per esempio i banchi al mercato, non sono registrate ufficialmente, e questo rende impossibile fare domanda per sussidi e aiuti statali. La situazione, prevedibilmente, non migliorerà con la fine dalla pandemia: per i rom trovare lavoro in sistemi economici che fanno fatica per tornare alla normalità sarà perfino più difficile che in passato. Per rimettere in piedi i meccanismi economici informali su cui la comunità faceva affidamento ci vorrà tempo.

Se il virus contagerà le comunità rom le conseguenze non riguarderanno solo quelli che ne fanno parte

“Immaginate che in una comunità rom una sola persona contragga il covid-19”, afferma sempre Tanić, in un articolo di Radio Slobodna Evropa dedicato alla situazione in Serbia e Bosnia Erzegovina. “Visto che la gente non può proteggersi, rispettando le norme base d’igiene, il contagio rischierà di propagarsi rapidamente in tutta la comunità. In più molti rom sono abituati a guadagnarsi da vivere raccogliendo materiali di scarto e ferro. Ma i mercati dove potevano rivendere queste merci oggi sono tutti chiusi. Ho contattato personalmente il ministero per i diritti umani e i rifugiati della Bosnia Erzegovina per chiedere aiuto. Ma mi è stato risposto che prima dell’approvazione del bilancio di stato non è possibile fare nulla. La discussione si è interrotta così”.

“Se il virus contagerà le comunità rom, tuttavia, le conseguenze non riguarderanno solo quelli che ne fanno parte. Per questo la autorità dovrebbero prepararsi per gestire gli effetti di lungo periodo sull’intera società di questa crisi”, scrive Balkan Insight. “La prima cosa da fare, se i contagi aumenteranno rapidamente in zone dove sono presenti i rom, è evitare che diventino capri espiatori. Perché gli attacchi contro di loro, motivati da razzismo esplicito o nati da da voci incontrollate, sono una realtà, nei Balcani e in altri paesi europei. Non secoli fa, ma negli ultimi trent’anni”.

Falso paternalismo
Ci sono poi anche misure da altra natura da prendere. “I governi della regione, le istituzioni europee e gli altri stati del continente devono capire che è essenziale includere queste comunità nei programmi di assistenza e nelle campagne d’informazione, e offrire loro la protezione necessaria. I gruppi più vulnerabili devono essere al centro dei progetti di assistenza umanitaria. Servono poi misure urgenti per migliorare le condizioni igieniche degli insediamenti e aiutare economicamente le famiglie. Sul lungo periodo, invece, l’Unione europea, le ong e i singoli paesi devono investire nelle infrastrutture e sviluppare politiche per la casa e il lavoro, nella sfera pubblica come in quella privata. Devono incoraggiare l’iniziativa imprenditoriale e occuparsi dell’inclusione scolastica. Misure che sono nell’interesse di tutti”, conclude Balkan Insight.

“Oggi dobbiamo accettare il fatto che, se non facciamo subito qualcosa, presto assisteremo a un disastro perfino peggiore di quello attuale”, aggiunge Tanić su Kosovo 2.0. “Mentre aspettiamo gli eventi, i governi della regione non riescono a immaginare soluzioni per migliorare la vita delle comunità rom. Tutto quello che oggi vediamo e sentiamo è solo la conseguenza di un falso paternalismo che dura da troppo tempo”.

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