22 giugno 2020 14:32

Il Brasile si conferma il paese dove la pandemia di covid-19 progredisce più rapidamente. Il 21 giugno ha registrato 54.771 nuovi casi, l’aumento giornaliero più cospicuo dall’inizio della pandemia. Diverse fonti locali avvertono però che il numero di test effettuati è ancora gravemente insufficiente, quindi i numeri reali potrebbero essere molto più elevati. I decessi accertati sono ormai oltre cinquantamila, più che in qualunque altro paese eccetto gli Stati Uniti. I dati brasiliani sono il principale motivo per cui anche il numero globale di contagi ha registrato un nuovo record, con oltre 183mila casi.

Tra le situazioni che destano più preoccupazione c’è quella degli indigeni, scrive il Guardian. L’organizzazione Apib ha contato almeno 7.200 casi e 332 morti su una popolazione totale stimata intorno ai 900mila individui. Gli indigeni brasiliani vivono soprattutto nelle aree più remote della foresta amazzonica, dove il virus potrebbe essere stato portato dai garimpeiros, i cercatori d’oro illegali. Spesso abitano in case comuni dove convivono diverse generazioni, facilitando i contagi. Nella regione l’unico ospedale attrezzato per la terapia intensiva è a Manaus, dove il tasso d’infezione è altissimo. Le organizzazioni indigene accusano il governo di aver trascurato le comunità e secondo alcuni leader il presidente di destra Jair Bolsonaro vuole approfittare della pandemia per sbarazzarsi di loro. Nelle ultime settimane il governo ha mandato medici e operatori sanitari nelle comunità, ma secondo alcuni potrebbero aver contribuito a diffondere il virus.

Come nel resto del mondo, a morire sono soprattutto i più anziani, ma per le comunità indigene questo ha conseguenze ancora più gravi. Gli anziani sono infatti i leader delle comunità e i depositari della loro storia e del loro sapere. Dato che le nozioni sono tramandate solo in forma orale, spesso la morte prematura di queste persone comporta una perdita irreparabile per il patrimonio culturale della loro comunità.

In India “sta succedendo qualcosa di sconcertante”, che contraddice i dati raccolti finora in altre parti del mondo sulla mortalità del coronavirus tra gli uomini e le donne, scrive Soutik Biswas sulla Bbc. In Italia, in Cina e negli Stati Uniti, per esempio, gli uomini sono stati più contagiati dal virus rispetto alle donne e sono morti in un numero maggiore. Ma uno studio pubblicato il 2 giugno da un gruppo di scienziati indiani e statunitensi rivela che in India anche se gli uomini sono più contagiati, le donne hanno un rischio maggiore di morire di covid.

La ricerca si basa sui dati dei decessi avvenuti in India fino al 20 maggio e dimostra che il 3,3 per cento delle donne che si ammalano di covid-19 muore, rispetto al 2,9 per cento degli uomini. Nel gruppo di età tra 5 e 19 anni sono morte solo femmine. Come spiega alla Bbc SV Subramanian, professore alla Harvard University e uno dei principali autori dello studio, “la nostra conclusione generale è che quando sono contagiate le donne in India non sembrano avere nessuno specifico vantaggio per la sopravvivenza”. E ha aggiunto: “non è chiaro quanto questo si possa attribuire a fattori biologici e quanto a fattori sociali. Il genere può essere un fattore decisivo nel contesto indiano”.

Kunihiro Matsushita, che insegna epidemiologia alla Johns Hopkins Bloomberg school of public health, osserva che i dati raccolti nello studio devono essere analizzati tenendo conto di come il covid-19 viene diagnosticato in India: “Per esempio, gli uomini e le donne hanno le stesse opportunità di accedere ai test?”, si chiede. Altri motivi potrebbero aver contribuito, nota Biswas. Tra questi il fatto che le donne vivono più a lungo degli uomini e gli anziani sono più vulnerabili al virus, la tendenza delle donne a medicarsi in casa senza andare dal dottore e la maggiore incidenza di contagi tra chi si occupa di assistenza, in grande maggioranza donne. “Dobbiamo esaminare i dati sul genere per capire meglio cosa sta succedendo”, conclude T Jacob John, ex professore di virologia al Christian medical college di Vellore, in India.

In Germania continuano ad aumentare i casi legati al focolaio scoppiato in un impianto di lavorazione della carne a Rheda-Wiedenbrück, nello stato del Nord Reno-Westfalia. Dei 6.500 dipendenti 1.331 sono risultati positivi. Tutti i lavoratori e i loro familiari sono stati messi in isolamento. Il focolaio ha contribuito a far risalire i contagi giornalieri in Germania a più di seicento. Il numero di riproduzione di base (R0) è più che raddoppiato, arrivando a 2,88. Gli impianti di lavorazione della carne sono stati più volte segnalati tra i luoghi più a rischio di contagio, soprattutto negli Stati Uniti. Secondo l’immunologo Erin Bromage, questo potrebbe essere dovuto al fatto che in questi stabilimenti gli operai lavorano a stretto contatto e devono comunicare a distanza ravvicinata a causa del rumore, e le basse temperature favoriscono la sopravvivenza del virus.

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