08 ottobre 2020 16:43

Margaret Thatcher temeva l’unificazione tra la Germania orientale e quella occidentale, e si oppose apertamente a questa possibilità. François Mitterrand condivideva i timori di Thatcher, ma era convinto che la riunificazione fosse inevitabile. Giulio Andreotti, dal canto suo, amava ripetere una battuta molto popolare: “Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due”. Nonostante le riserve di britannici, francesi e italiani, il 3 ottobre di trent’anni fa nacque un nuovo paese. Con i suoi ottanta milioni di abitanti, la Germania unita diventò immediatamente lo stato più popoloso ed economicamente potente di un’Europa che fino a quel momento aveva contato quattro grandi paesi di dimensioni paragonabili. Da quel momento gli statisti e gli studiosi si sono chiesti come affrontare quell’egemone riluttante nel centro del vecchio continente. Come poteva la Germania guidare l’Europa senza dominarla? Dopo gli orrori del nazismo, era ragionevole permetterle di guidare gli altri?

A trent’anni di distanza è evidente che la riunificazione tedesca sia stata un enorme successo. I tedeschi dell’est si sono liberati dal giogo del comunismo. Con appena tre cancellieri in tre decenni, la nuova Germania si è affermata come potenza solida e pragmatica, sostenendo l’allargamento dell’Unione europea a est e la creazione dell’euro. Berlino ha stimolato una crescita progressiva (per quanto poco spettacolare) nel continente, almeno fino alla pandemia di covid-19. L’Europa è sopravvissuta alle crisi economiche del 2007-2008, al picco della crisi del debito nel 2010-2012 e alla crisi migratoria del 2015-2016. La Germania ha imposto il suo peso meno di quanto temessero gli scettici, anche se molti europei del sud non hanno dimenticato le misure di austerità imposte in passato da Berlino.

Nuove sfide
Sotto la guida dei prossimi cancellieri, la Germania dovrà mostrare una maggiore ambizione. Questa necessità è particolarmente acuta per quanto riguarda la sicurezza. La spesa militare in Germania sta crescendo, ma resta ben al di sotto del 2 per cento del pil previsto per i paesi della Nato. L’argomento è delicato all’interno del partito cristiano democratico di Angela Merkel, e ancora di più nel rapporto con i partner della coalizione, i socialdemocratici. Per non parlare dei verdi, che potrebbero entrare nel governo dopo le elezioni dell’anno prossimo. La Germania ha mantenuto un atteggiamento fin troppo prudente nei rapporti con Russia e Cina, anteponendo gli interessi commerciali a quelli politici. La costruzione del Nord Stream 2, un gasdotto che dovrebbe collegare la Germania alla Russia, è un caso lampante. Il progetto danneggia gli interessi dell’Ucraina, della Polonia e degli stati baltici, ma fino a questo momento Merkel non ha voluto fare marcia indietro, nonostante il comportamento deprecabile di Vladimir Putin. La cancelliera, inoltre, non ha prestato attenzione agli esponenti del suo partito, convinti che sia troppo rischioso permettere all’azienda cinese Huawei di fornire equipaggiamenti alla Germania per la costruzione della rete 5G.

Tuttavia, in questo momento emergono chiari segnali di cambiamento. In settimana si è saputo che Merkel ha visitato il leader dell’opposizione russa Aleksej Navalnyj, nell’ospedale di Berlino dove si sta riprendendo da un avvelenamento (secondo Putin si sarebbe avvelenato da solo). Inoltre in Germania Huawei dovrà affrontare ostacoli burocratici più complicati del previsto, e Merkel comincia a mostrare qualche tentennamento a proposito del Nord Stream 2. La cancelliera è sempre più convinta dalla tesi di Emmanuel Macron secondo cui gli Stati Uniti stanno diventando un alleato poco affidabile e dunque l’Europa dovrebbe fare di più per allontanarsene, a prescindere da chi vincerà le presidenziali di novembre. Per il momento tutti questi cambiamenti non hanno creato una Germania più determinata alla guida di un’Europa più determinata, ma rappresentano comunque un progresso nella giusta direzione.

Anche sul fronte economico la Germania dev’essere più audace. La pandemia è riuscita laddove la crisi dell’euro aveva fallito, costringendo i paesi più ricchi dell’Unione ad adottare una maggiore solidarietà verso i più poveri. L’accordo raggiunto in estate su un piano di ripresa da 750 miliardi di euro, finanziato dal debito comune, ha segnato una svolta cruciale che fino a poco tempo fa la Germania non avrebbe permesso. Più di metà dei finanziamenti sarà versata sotto forma di sussidi, senza aggiungere altro debito ai paesi già profondamente indebitati. Lo stanziamento del fondo potrebbe essere ritardato, ma l’accordo dimostra che finalmente la Germania si sta assumendo le proprie responsabilità. Berlino dovrà proseguire su questa strada se vuole garantire la sopravvivenza dell’euro e forse anche dell’Unione europea. Ma è evidente che la Bundesrepublik sta crescendo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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