16 maggio 2023 15:33

Alla settantaseiesima edizione del Festival di Cannes, che si apre il 16 maggio, per la prima volta nella storia della manifestazione cinematografica saranno in gara sette registe, ovvero circa il 33 per cento dei cineasti in lizza. L’anno scorso erano state cinque.

“Siamo felicissime di questo numero di registe in gara, ma siamo anche preoccupate perché è chiaro che si sta procedendo troppo lentamente”, sottolinea all’Afp Clémentine Charlemaine del collettivo 50/50 (specializzato nella questione della parità di genere nel mondo del cinema) e rappresentante dell’associazione Cinema per tutti. “Anche se la parità non c’è ancora, possiamo comunque vedere che la programmazione del festival di Cannes sorpassa la percentuale di film diretti da donne”, sostiene da parte sua Fabienne Silvestre, co-fondatrice e direttrice del Lab femme de cinéma, un think thank sul ruolo delle donne nel cinema in Europa. Secondo le statistiche dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo, ripreso dal Lab des femmes, la quota di registe nel campo dei lungometraggi (categoria fiction) in Europa nel periodo 2017-2021 si attesta al 21 per cento.

La questione della parità non è una sfida solo per il Festival di Cannes. La Berlinale, che pubblica le sue statistiche dal 2002, ha come record il numero di sette registe in gara, ma fatica a superarlo. Ecco alcuni dati che consentono di misurare i progressi compiuti. Nel 2002 a Berlino era in gara solo un film diretto da una donna. Nel 2023 c’erano sei registe a competere per l’Orso d’oro, su 19 film. A Venezia, nel 2022, su 23 film in gara per il Leone d’oro, otto erano opere di registe. Nel 2012 a Cannes in gara non c’era nessuna regista. Questi numeri dimostrano che “il seme della consapevolezza sta producendo i suoi frutti”, osserva Fabienne Silvestre.

Un fenomeno “rassicurante”, conferma all’ Afp Heather Rabbatts, a capo dell’organizzazione Time’s Up Uk, secondo cui però la selezione di Cannes non lascia abbastanza spazio alle donne nere. In genere la parità è più realizzata nelle sezioni parallele del festival, che sono meno esposte rispetto alla competizione. La Settimana della critica, per esempio, ha selezionato sei lungometraggi – su 11 – di registe donne. Chiaroscuri anche nelle classifiche. A Cannes, solo due donne hanno vinto la Palma d’oro: la francese Julia Ducournau nel 2021 con Titane e la neozelandese Jane Campion a pari merito nel 1993 con Lezioni di piano. A Venezia gli ultimi tre Leoni d’oro sono stati assegnati a registe donne: Chloé Zhao (Nomadland nel 2020), Audrey Diwan (La scelta di Anne nel 2021) e Laura Poitras (Tutta la bellezza e il dolore nel 2022).

Come si spiega che la parità, anno dopo anno, sembri ancora inaccessibile, anche se nelle principali scuole di cinema uno studente su due è una donna? “È anche una questione di soldi. Per una regista è molto difficile chiedere grandi somme di denaro”, afferma Fabienne Silvestre. Così, sottolinea Clémentine Charlemaine, “le donne sono confinate in film a basso budget: più di tre quarti di loro hanno un budget inferiore ai quattro milioni di euro, secondo lo studio realizzato nel collettivo 50/50.

“I festival mettono in risalto questi problemi (di genere e di diversità), ma le difficoltà strutturali restano. I produttori neri hanno difficoltà ad accedere agli investitori”, assicura Heather Rabbatsm che guiderà una delegazione di produttori neri a Cannes. Come fare meglio, allora? “Il sistema di quote continua a non essere allettante, anche se due paesi stanno sperimentando dal 2021 una forma ibrida”, spiega Fabienne Silvestre. L’Austria, che fissa delle quote, ma non prevede sanzioni se non vengono rispettate, e il Regno Unito, che invece delle quote ha scelto di porsi l’obiettivo del 50 per cento di film diretti da donne e finanziati dal governo.

(Traduzione di Elisa Nesta)

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