09 agosto 2023 10:04

Nel 2019 l’esplosione a Hong Kong del malcontento antigovernativo aveva spinto la Cina a imporre nel territorio una legge draconiana sulla sicurezza nazionale per prevenire ulteriori proteste. I funzionari affermano che sia servito: è stata raggiunta un’“importante transizione dal caos all’ordine”, insistono. Ma anche dopo migliaia di arresti e numerosi processi, sia in base alla nuova legge sia a statuti riesumati dall’epoca coloniale, le autorità sono nervose. Sempre più spesso mettono in guardia contro una “resistenza soft” che potrebbe scatenare nuovi disordini. A Hong Kong potrebbe essere in corso una nuova fase della guerra al dissenso.

Per più di tre anni, la paura instillata dalla legge sulla sicurezza nazionale e da altri segnali della stretta cinese sul territorio ha scoraggiato la maggior parte delle persone dal tentare di organizzare manifestazioni. Fino a quando non sono state abolite, nel dicembre del 2022, anche le restrizioni legate al covid-19 potrebbero aver contribuito a tenere i manifestanti lontani dalle piazze. Inoltre alcuni di coloro che erano in prima fila nei mesi delle rivolte del 2019 sono fuggiti. Da allora, Hong Kong ha registrato la più grande ondata di emigrazione degli ultimi decenni e la forza lavoro si è ridotta di oltre il 5 per cento.

Sebbene sia stata messa a dura prova, Hong Kong si sente ancora diversa dalle città della Cina continentale. I controlli sulla libertà di parola, sui mezzi di informazione, sui libri e sulla cultura sono meno radicali. Il “grande firewall” cinese non blocca internet: siti come Facebook e Google a Hong Kong funzionano. Nel resto della Cina, il Partito comunista è onnipresente. A Hong Kong opera in gran parte lontano dagli sguardi, i suoi occhi vigili non sono percepiti in modo così acuto nella vita quotidiana dei cittadini. Le opportunità per i critici del governo di esprimersi sono diventate più scarse (dal 2019 i sostenitori della democrazia sono stati epurati dalle istituzioni politiche di Hong Kong). Ma esistono, anche se in modo precario.

Molti abitanti di Hong Kong si chiedono per quanto tempo ancora il territorio possa mantenere questi brandelli di diversità

Il 28 luglio l’alta corte di Hong Kong ha respinto la richiesta del governo di vietare una canzone di protesta amata dai manifestanti nel 2019, affermando che un’ingiunzione avrebbe potuto minare la “libertà di espressione” (il governo è ricorso in appello). Una sentenza del genere sarebbe impensabile sul continente. Altrettanto inimmaginabile sarebbe la possibilità per il pubblico (compresi i visitatori stranieri, per i quali non è richiesto alcun documento di identità) di seguire i processi legati alle violazioni della legge sulla sicurezza nazionale. Si tratta di spettacoli tetri e senza giuria, ma i mezzi d’informazione locali danno conto dei procedimenti. I citizen journalist contribuiscono a fornire ulteriori dettagli sulle testimonianze degli imputati.

Ma molti abitanti di Hong Kong si chiedono per quanto tempo ancora il territorio possa mantenere questi brandelli di diversità. I loro timori sono alimentati dai commenti delle autorità sulla resistenza soft. Non è stata data una definizione ufficiale del termine, ma sembra che si riferisca a una gamma più ampia di attività rispetto ai reati di sovversione, secessione e simili che sono previsti dalla legge sulla sicurezza nazionale e dalla legge anti sedizione (una reliquia del dominio britannico, da tempo in disuso, che sta godendo di nuova vita). Il modo in cui il termine viene spesso usato dai mezzi d’informazione di Hong Kong controllati dal partitosuggerisce che potrebbe essere applicato a qualsiasi attività politica non gradita al governo.

È stato un funzionario del continente, Luo Huining, a sollevare l’idea che gli abitanti di Hong Kong stessero opponendo una resistenza soft. Nel 2021 Luo, che all’epoca era il più alto emissario del governo centrale, ha chiesto che questo comportamento fosse “regolato dalla legge”. Ma non si è dilungato.

Negli ultimi mesi le autorità di Hong Kong hanno ripreso l’argomento. I loro toni martellanti suggeriscono una pressione da parte di Pechino. “Varie azioni di resistenza soft continuano a verificarsi e a essere diffuse attraverso i mezzi d’informazione online e i canali culturali e artistici”, ha dichiarato a giugno John Lee, capo dell’esecutivo del territorio. “Queste forze latenti potrebbero esplodere in qualsiasi momento, mettendo in pericolo la sicurezza nazionale e turbando la pace sociale”. Più tardi, nello stesso mese, ha dichiarato alla televisione di stato che tali atti richiedono che Hong Kong sia “particolarmente vigile”. Il 24 luglio, in risposta a un giornale locale, il capo della sicurezza di Hong Kong, Chris Tang, ha dichiarato che non ci deve essere “assolutamente nessun compromesso” sulla questione. “È imperativo combattere la resistenza soft con tutte le nostre forze”.

La decisione del tribunale di non mettere fuori legge la canzone di protesta Glory to Hong Kong è stato un intoppo. La diffusione dell’inno online è stata citata dai mezzi d’informazione filogovernativi come un esempio di resistenza soft (così come la presunta clemenza di alcuni giudici nel condannare i manifestanti). Ma l’impatto sarà limitato. Due versi della canzone riprendono le parole di uno slogan di protesta – “Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi” – che il governo ha dichiarato sovversivo. La polizia si è scagliata contro i pochi individui che hanno osato suonare il brano in pubblico dopo l’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale. È improbabile che la sentenza del tribunale incoraggi altri a provarci.

Le autorità parlano di resistenza soft replicando una tattica spesso usata dai loro colleghi sul continente: seminare la paura con avvertimenti vagamente formulati piuttosto che con riferimenti espliciti alle leggi. Lee, il capo dell’esecutivo, ha dichiarato che “le forze distruttive” di Hong Kong spesso si impegnano in una resistenza soft tenendosi “al di sotto della linea rossa della violazione della legge”. L’idea, a quanto pare, è quella di tenere le persone lontane da questa linea di demarcazione, offuscandola. I due principali giornali di Hong Kong controllati dal partito, il Ta Kung Pao e il Wen Wei Po, attaccano chi ci si avvicina troppo. Si ritiene che i loro commenti riflettano il punto di vista delle autorità della Cina continentale che, da dietro le quinte, muovono i fili del governo di Hong Kong.

Libri e libertà
Leticia Wong è nel loro mirino. Gestisce una piccola libreria chiamata Hunter a Sham Shui Po, uno dei quartieri più poveri di Hong Kong e polo di attrazione per i giovani in ascesa alla ricerca di un alloggio economico. Wong, che ha 30 anni, si è dimessa dalla sua carica elettiva in un consiglio locale nel 2021, dopo che il governo ha richiesto a tutti i titolari di cariche pubbliche di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica Popolare Cinese. Credeva che sarebbe stata estromessa per ipocrisia. Nel 2022 Wong ha aperto Hunter, dove si trovano libri relativi alle proteste del 2019 e ad altri argomenti delicati.

Anche con la legge sulla sicurezza nazionale, raramente a Hong Kong vengono vietati dei libri specifici. L’anno scorso, tuttavia, cinque logopedisti sono stati arrestati per sedizione. Il loro reato era quello di aver pubblicato un libro per bambini che sembrava ritrarre gli abitanti di Hong Kong come pecore che respingono i lupi (apparentemente rappresentanti la Cina). Le biblioteche hanno rimosso le opere che ritenevano potessero violare la nuova legge: per esempio, i libri sulla rivolta per la democrazia in Cina nel 1989, o quelli scritti dagli attivisti di Hong Kong incarcerati. A maggio Lee ha dichiarato che le biblioteche pubbliche devono assicurarsi di non “diffondere alcun tipo di messaggio che non sia nell’interesse di Hong Kong”. Ha anche osservato che i libri sulle proteste di piazza Tiananmen si possono trovare nei negozi privati. Se la gente “vuole comprare, può comprare”, ha detto. Questo è vero, ma la campagna contro la resistenza soft potrebbe cambiare le cose.

A maggio un articolo sul Ta Kung Pao parlava di Wong e della sua libreria. “Le sue azioni anticinesi e foriere di caos a Hong Kong sono note da tempo a tutti”, si leggeva. “Dopo l’applicazione della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, non si è ancora pentita… Ha continuato a fare resistenza soft vendendo libri antigovernativi o conflittuali”. Wong ci ride su: queste accuse hanno contribuito ad aumentare le vendite, dice. “Molte più persone vengono a comprare libri e a vedere se sono ancora viva”. Secondo i suoi calcoli, quasi un terzo dei clienti proviene dal continente.

Wong si spinge ancora oltre. A luglio ha organizzato una fiera del libro di quattro giorni in una piccola stanza sopra un negozio di abbigliamento. Ha offerto a una manciata di editori indipendenti uno spazio per esporre nuove opere di un genere che difficilmente si sarebbe potuto vedere nella locale fiera ufficiale del libro, che si teneva in un centro congressi. Ma Wong è pessimista. “Non credo che siano abbastanza intelligenti da lasciare spazio ad abitanti di Hong Kong come me”, afferma. Su Facebook, Wong ha accennato alle pressioni politiche che deve affrontare. Secondo lei la sua libreria non sopravviverà per organizzare un’altra fiera l’anno prossimo.

Non c’è spazio per gli attivisti
L’etichetta di resistenza soft viene affibbiata anche a persone lontane dalle prime linee del dissenso. A maggio un articolo a tutta pagina sul Wen Wei Po ha attaccato gli attivisti che si sono battuti per conto dei residenti dei famigerati “appartamenti suddivisi” di Hong Kong: piccoli appartamenti convertiti in abitazioni multiple, spesso con spazio appena sufficiente per due letti a castello. Questo tipo di alloggi si è moltiplicato negli ultimi anni per soddisfare la domanda di persone che sono in lista d’attesa da anni per una casa di edilizia pubblica o che non possono permettersi i prezzi altissimi degli immobili.

I funzionari cinesi affermano che le lamentele per la grave carenza di alloggi a prezzi accessibili a Hong Kong sono state una delle principali cause dei disordini del 2019. Il governo della città ha promesso di accelerare la costruzione di appartamenti sovvenzionati. Tuttavia, il Wen Wei Po ha suggerito che lamentarsi di questi sforzi potrebbe innescare nuovi disordini. Ha affermato che è necessario vigilare contro le persone che usano la questione degli alloggi come una forma di resistenza soft, suscitando “emozioni negative tra i cittadini”.

Gli occhi sono ora puntati sulla nuova legislazione in materia di sicurezza che il governo afferma di voler emanare quest’anno o il prossimo. Sarebbe previsto dall’articolo 23 della costituzione di Hong Kong, la Legge fondamentale, ma le perplessità dell’opinione pubblica, evidenziate dalle massicce proteste del 2003, ne hanno ritardato l’attuazione fino a oggi. A luglio, il capo della sicurezza Tang ha dichiarato al Wen Wei Po che i redattori del disegno di legge stavano “prestando attenzione alla resistenza soft” e alle “lacune” nelle leggi esistenti che riguardano internet.

Kiwi Chow, un regista, sente il gelo nella sua attività. Due anni fa il suo documentario sui disordini del 2019, Revolution of our times, è diventato un successo tra gli hongkonghesi all’estero (i cinema del territorio non lo proiettano). Il suo film più recente, una commedia romantica, non ha nulla a che fare con la politica. Tuttavia, la sua semplice associazione con un film di protesta ha fatto scappare investitori e attori. Per completarlo ha dovuto raccogliere fondi tra gli amici. La sua famiglia teme che possa essere “arrestato in qualsiasi momento”, dice. Ma lui ignora gli avvertimenti del governo sulla resistenza soft. “Non cercherò di capire cosa vogliono, perché questo continuerebbe a perseguitarmi”.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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