Il 26 gennaio la nave Cassiopea della marina militare italiana è partita per l’Albania con 49 persone a bordo, migranti intercettati nelle acque internazionali davanti a Lampedusa. Saranno trasferiti nei centri di detenzione di Shëngjin e poi di Gjadër, dove saranno sottoposti a una procedura accelerata di frontiera, se i giudici confermeranno il loro trattenimento. È il gruppo di richiedenti asilo più numeroso trasferito finora in Albania ed è formato da persone provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh, come nelle due operazioni precedenti, ma anche dalla Costa d’Avorio e dal Gambia.
A bordo della nave militare, che dal 24 gennaio stazionava nelle acque internazionali davanti a Lampedusa, questa volta non erano presenti operatori dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), che quindi non hanno presenziato allo screening che avviene a bordo della nave militare per stabilire chi può essere sottoposto a procedure accelerate di frontiera e conseguentemente trasferito in Albania. Il portavoce dell’Oim Flavio Di Giacomo conferma l’assenza degli operatori della sua organizzazione sia a bordo della Cassiopea sia a terra, nel centro di Shëngjin, dove la nave dovrebbe arrivare il 28 gennaio. Nei due precedenti trasferimenti avvenivano colloqui più approfonditi con i richiedenti asilo per stabilire se fossero vittime di tratta o di tortura, o se avessero qualche altra vulnerabilità come disturbi psicologici.
Secondo il governo, possono essere trasferiti soltanto maggiorenni, di sesso maschile, non vulnerabili, che provengono da paesi considerati sicuri secondo la lista approvata dall’esecutivo. Le 49 persone che sono state trasferite con la forza in Albania erano parte di un gruppo più grande di 345 migranti, che erano diretti a Lampedusa a bordo di otto imbarcazioni partite dalla Libia e dalla Tunisia. “Sono ripresi gli arrivi a Lampedusa perché si è aperta una finestra di bel tempo, è ancora presto per capire se sta succedendo qualcosa in Libia o in Tunisia che ha determinato l’aumento o se si tratta solo delle condizioni meteomarine”, continua Di Giacomo.
Il 26 gennaio è stato registrato anche un naufragio 53 miglia a sudovest di Lampedusa. Almeno due i dispersi, mentre nella barca sono stati ritrovati i cadaveri di due bimbi, e un terzo bambino sarebbe finito in mare. Erano tre fratelli. I quindici superstiti sono stati soccorsi dalla nave Sea Punks e trasferiti a Lampedusa, l’imbarcazione su cui viaggiavano era partita dalla Libia.
Il governo di Giorgia Meloni ha avviato il terzo trasferimento in Albania, come aveva annunciato il 23 dicembre 2024, nonostante la corte di giustizia europea non si sia ancora espressa sulla questione dei trattenimenti in Albania e sulla lista dei paesi sicuri, come richiesto da numerosi tribunali italiani nelle ultime settimane. La sentenza della corte dovrebbe arrivare nei prossimi mesi.
“Nelle precedenti operazioni erano presenti diversi operatori dell’Oim, che erano responsabili dei colloqui individuali con le persone dirette in Albania per stabilire eventuali loro vulnerabilità. C’erano operatori Oim e nostri mediatori culturali anche nel centro di Shëngjin. Ma questa volta non ci siamo, credo che sia dovuto a questo il numero più alto di persone trasferite”, afferma Di Giacomo, secondo cui l’organizzazione non ha fatto in tempo a rinnovare la convenzione del governo, che aveva urgenza di ripartire con una nuova missione, mentre il primo accordo stipulato a ottobre aveva una durata di tre mesi ed era scaduto. Sono presenti a bordo della Cassiopea degli osservatori dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ma sono in missione di monitoraggio, quindi senza alcuna funzione operativa nel piano. Ci sono anche dei mediatori culturali, ma senza nessuna organizzazione umanitaria che li guidi.
Rispetto ai primi due trasferimenti in Albania, è cambiato il tribunale competente per la convalida dei trattenimenti. Nei primi due casi era quello di Roma, in particolare la sezione specializzata sull’immigrazione, mentre questa volta a esprimersi dovranno essere sei giudici delle corti di appello. Il 23 dicembre la presidente del consiglio Giorgia Meloni aveva annunciato che da gennaio sarebbero ripresi i trasferimenti di richiedenti asilo in Albania, anche alla luce di una sentenza del 19 dicembre della corte di cassazione che, a suo parere, dava ragione al governo italiano stabilendo che i giudici non possono sindacare sulla sicurezza di un paese dichiarato sicuro dal governo.
Il 19 dicembre la corte di cassazione si è espressa su un rinvio pregiudiziale sollevato dal tribunale di Roma nel luglio scorso a proposito della procedura accelerata di frontiera per i migranti che provengono da paesi considerati sicuri. È un provvedimento che fa riferimento alla normativa in vigore prima che il governo approvasse, il 21 ottobre scorso, il nuovo decreto con la lista sui paesi sicuri, e sul quale dovrà pronunciarsi sempre la cassazione. In riferimento a un’altra vicenda che riguardava un migrante, i giudici hanno stabilito che l’elenco dei paesi sicuri, concordato dal governo, “non è un atto politico fuori dal diritto e dalla giurisdizione”.
Secondo l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), la cassazione avrebbe però stabilito il contrario di quello che ha affermato il governo in merito alla lista in questione, e anche alla sindacabilità delle decisioni del governo. “La cassazione ha affermato molto chiaramente che il decreto ministeriale che aveva designato i paesi di origine sicura, ora sostituito da una legge, non era un atto politico ma un atto amministrativo pienamente e legittimamente sindacabile dai giudici, cui spetta il dovere-potere di verificare il rispetto dei requisiti normativi imposti dal diritto europeo”, ha scritto l’Asgi in un comunicato, commentando le dichiarazioni del governo.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.
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