19 giugno 2020 17:46

I ricercatori sono vicini alla soluzione di un quesito che si è posto fin dall’inizio dell’epidemia di covid-19: quanto è pericolosa la malattia? Questo aspetto, fondamentale per la gestione sanitaria, è misurato da un parametro chiamato infection fatality rate (Ifr), un tasso di letalità che viene calcolato dividendo il totale dei decessi per il totale delle persone infettate, compresi i casi non confermati da esami di laboratorio o che non mostrano sintomi. “L’Ifr ha implicazioni sulla portata di un’epidemia e su quanto seriamente dobbiamo considerare una nuova malattia”, dice Robert Verity, epidemiologo all’Imperial college di Londra, intervistato da Smriti Mallapaty su Nature.

Il parametro è difficile da valutare per un’infezione provocata da un nuovo virus. Nel caso del covid-19 è particolarmente difficile da stimare poiché alcune persone contagiate hanno sintomi molto lievi o non hanno sintomi e quindi i casi non vengono individuati. Un altro problema nel calcolo dell’Ifr relativo al covid-19 è il tempo che trascorre tra il momento dell’infezione e l’eventuale decesso, che è di alcune settimane. Infine, non sempre il conteggio dei morti per covid-19 è preciso.

L’Ifr può anche cambiare nel tempo, per esempio se migliorano le cure prestate. In effetti, è possibile che dall’inizio della pandemia di covid-19 l’accumulo di conoscenze mediche stia portando a un miglioramento delle cure e quindi alla riduzione delle morti. L’Ifr può anche dipendere dalla struttura demografica della popolazione, per esempio dalla presenza di molte persone anziane, dalle condizioni sociali e da altri fattori.

Per fare una prima stima dell’Ifr sono stati usati i dati raccolti sulla nave da crociera Diamond Princess, all’inizio di febbraio. Dopo la scoperta del focolaio, tutte le persone a bordo hanno effettuato il test diagnostico per il covid-19, il cosiddetto tampone. Sono quindi noti sia il totale delle persone infettate, anche senza sintomi, sia i decessi. È stato calcolato un Ifr dello 0,65 per cento.

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Una stima più recente si deve a uno studio brasiliano, presentato come rapporto preliminare alla fine di maggio, non ancora pubblicato su una rivista scientifica. Il campione di popolazione proveniva da 133 città di diverse aree del Brasile. Si tratta quindi di uno studio molto più ampio rispetto a quello della nave da crociera. I 25.025 partecipanti hanno fornito un campione di sangue analizzato per trovare gli anticorpi contro il Sars-cov 2, il virus responsabile del covid-19. Se sono presenti gli anticorpi, la persona è stata infettata dal virus. Estrapolando i risultati dell’indagine di sieroprevalenza, i ricercatori hanno stimato che i casi di covid-19 sono sette volte di più di quelli ufficiali. Infine, hanno calcolato un Ifr dell’1 per cento.

Secondo Nature, anche in Spagna è possibile stimare un Ifr di circa l’1 per cento. La stima si basa sui dati di un’indagine di sieroprevalenza nazionale.

I numeri italiani
Per l’Italia Nature non riferisce alcuna stima. Studi precedenti hanno calcolato un altro tasso di letalità: il case fatality rate (Cfr), cioè i decessi in proporzione ai casi di covid-19 confermati con esami di laboratorio. Il Cfr tende in genere a essere maggiore dell’Ifr. Uno studio con i dati aggiornati al 17 marzo stimava un Cfr italiano del 7,2 per cento, ben più alto del Cfr della Cina pari al 2,3 per cento. Lo stesso studio trovava però un Cfr simile a quello cinese per tutte le fasce d’età fino ai 69 anni, e molto più alto per le persone più anziane. Tuttavia questo risultato potrebbe dipendere da diversi fattori, compresa una definizione diversa di morte per covid-19.

A fine maggio il ministero della salute con l’Istat e la collaborazione della Croce rossa italiana ha cominciato un’indagine di sieroprevalenza per capire quante persone hanno sviluppato gli anticorpi contro il Sars-cov 2. Questa ricerca potrebbe contribuire a chiarire il quadro italiano, anche sulla mortalità.

Secondo Nature, i ricercatori aspettano “ampi studi, che possano stimare i tassi di letalità per fasce d’età e per i gruppi con altre malattie”. Questi dati fornirebbero un quadro più dettagliato di quanto sia pericoloso il covid-19. Alcuni studi hanno già cominciato ad analizzare questo aspetto. Un primo studio su The Lancet aveva stimato un Ifr per la Cina dello 0,657 per cento, ma del 7,8 per cento per le persone con più di ottant’anni. Un altro studio, svizzero, relativo al cantone di Ginevra, ha trovato con un’indagine di sieroprevalenza un Ifr dello 0,64 per cento per tutta la popolazione, ma del 5,6 per cento per le persone con 65 anni o più.

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